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Ecco il programma comune (di Becchetti) per affrontare le 4 facce della crisi

Conosco molti politici che sono meglio di come li dipinge la stampa e l’opinione pubblica sui social ma che finiscono vittime di un meccanismo shortermista che sta diventando infernale. Il frazionamento partitico e l’ossessione dei sondaggi del giorno dopo stanno creando un circuito vizioso che rischia di paralizzare l’attività del governo. Chi si accorge di perdere terreno in materia di consenso cerca di differenziarsi dai vicini aumentando il tasso di conflittualità per poi vedere l’effetto che fa. Il risultato è che questo meccanismo infernale finisce per concentrare l’attenzione del dibattito politico sul litigio tra esponenti del governo con l’ulteriore effetto perverso che gran parte dei conflitti sono proprio tra i più vicini che sentono l’esigenza di differenziare il prodotto rispetto a chi può essere percepito come loro sostituto. La società civile può e deve organizzarsi come “gruppo d’acquisto politico” per frenare questa deriva. Le reti sociali attive nel paese (sardine incluse) non devono favorire questo gioco creando nuovi partiti ma possono e devono unirsi su un manifesto e su un programma essenziale per attirare la politica in quella direzione.

In un momento difficile come questo abbiamo bisogno di politici con la P maiuscola capaci di lavorare assieme su un programma comune. Da un certo punto di vista è più una questione di persone che di idee o progetti. Il programma comune deve avere alcuni punti essenziali capaci di affrontare allo stesso tempo le quattro facce della crisi (sociale o della dignità del lavoro, ambientale, demografica e di senso della vita).

Bisogna innanzitutto capire le due cause dello straniamento e della rabbia di vaste parti della popolazione. C’è il problema della dignità e qualità del lavoro ma anche quello del venir meno di radici, tradizioni e valori che fondano il senso dell’esistere. La nuova politica deve essere come un albero con radici molto più profonde (demenziale lasciare a Salvini il monopolio dei valori spirituali almeno nella comunicazione quando non è affatto così, basti pensare all’eccellente lavoro di S. Egidio e di Demos e all’elaborazione di Politica Insieme) e con la chioma alla frontiera della nuova visione del ben-vivere che sta emergendo nelle scienze sociali. Visione che si fonda sul concetto di generatività e di cittadinanza attiva perché qualunque essere umano ha una vita soddisfacente e ricca di senso se si alza dal divano e si mette in gioco. Concretamente questo vuol dire rivoluzionare ad esempio l’idea dei servizi di welfare fondandoli su questo criterio attraverso il quale chi è nel bisogno non è beneficiario di un obolo ma ridiventa protagonista della propria vita (moltissimi esempi di buone pratiche ci indicano la strada, dal budget di salute, ai progetti di lavoro in carcere, ad esempi di successo in materia di longevità attiva come Civitas Vitae, ad empori della solidarietà dove i beneficiari diventano soci e protagonisti).

Gli spazi di azione in materia di bilancio pubblico sono molto limitati e proprio per questo sussidiarietà e generatività sono le chiavi per realizzare progressi senza coinvolgere le finanze pubbliche. I famosi miliardi di investimenti già stanziati di cui si parla sempre riguardano spesso voci di competenza e non di cassa. Si tratta quindi di interventi autorizzati e programmati ma la cui realizzazione andrebbe ad incidere sul bilancio pubblico con i vincoli connessi.

Il governo ha usato le poche risorse a disposizione per disinnescare l’aumento dell’Iva e avviare la riduzione del cuneo fiscale. Importante anche se ancora parziale per risorse impegnate ed efficacia l’impegno per combattere l’inverno demografico che dovrà sfociare nell’assegno unico per il figlio. Economia circolare e rivoluzione verde sono l’unica strada possibile per una crescita sostenibile. Il governo deve avere coraggio a superare le resistenze in materia di lotta all’evasione. Paradossale rimandare la lotteria degli scontrini che stimola contrasto fiscale attraverso premi e non punizioni.

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