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lmpeachment. Trump twitta, McConnell negozia, e Pelosi? L’analisi di Gramaglia

“E adesso, povera donna?” Uno potrebbe immaginarsi che il rinvio a giudizio per impeachment davanti al Senato lasci metaforicamente in brache di tela, prostrato e avvilito, Donald Trump, il 45° divenuto il 3° (presidente degli Stati Uniti a rischiare d’essere destituito). Ma prostrazione e avvilimento non sono stati d’animo del magnate e showman, che sfodera aggressività e strafottenza.

Invece, chi non sa che pesci pigliare è la regista del voto con cui la Camera ha spedito a processo, per abuso di potere e ostruzione alla giustizia, il presidente: Nancy Pelosi, 79 anni, californiana, speaker della Camera, aveva resistito alle spinte a prendere la via dell’impeachment sul Russiagate, ma ha poi dato via libera sull’Ukrainagate – in effetti, un dossier più solido e chiaro -. Ma, adesso, dopo avere accelerato al massimo la procedura, per arrivare al voto prima di Natale, inizia a frenare, perché vede il boomerang arrivarle addosso e fare strike dei candidati alla nomination democratica per Usa 2020, che pure si sono nascosti dietro di lei in tutta questa fase.

Il vestito nero funerale con cui la speaker ha presieduto mercoledì la seduta decisiva contrastava con i colori vivaci scelti altre volte, celeste, verde, rosso: voleva forse esprimere la consapevolezza dei rischi che un presidente come Trump fa correre alla democrazia statunitense; ma dava pure l’idea d’un lutto da sconfitta. Che, al Senato, pare ineluttabile, per quelli che sono i rapporti di forza (53 repubblicani e 47 democratici e indipendenti, per decidere l’impeachment ci vogliono 67 voti); e perché questo non è un processo giudiziario, ma politico, dove deputati e senatori si schierano lungo rigide linee partitiche, nel segno della polarizzazione di cui Trump è, nello stesso tempo, un frutto e un artefice.

Lo scudo anti-impeachment di Trump al Senato è un uomo mite, che, fra un anno, dovrà riconquistarsi il seggio in uno Stato divenuto difficile, il Kentucky, e avrà quindi bisogno dell’ombrello protettivo del suo presidente. Dunque, la lealtà a Trump di Mitch McConnell, capogruppo dei repubblicani al Senato, non ha limiti: il senatore arriva al punto di dichiarare che lui non si sentirà vincolato all’imparzialità, nell’amministrare la giustizia il mese prossimo (o quando sarà, ché adesso i democratici hanno in animo tattiche dilatorie).

Sui suoi collaboratori, e non solo, il presidente è uomo dai facili entusiasmi e dai cambi d’opinione repentini. Ora, stravede per McConnell, ma in passato l’aveva pure bollato come un buono a nulla,  quando una fronda interna al gruppo repubblicano aveva fatto annullare l’atteso voto sulla revoca dell’Obamacare, la riforma sanitaria di Barack Obama.

Addison Mitchell “Mitch” McConnell, 77 anni, un altro pezzo della gerontocrazia statunitense, va su e giù sulle montagne russe del gradimento presidenziale, ma il magnate lo considera uno dei suoi, magari non il più “smart”, ma uno solido e affidabile. Col passare degli anni, McConnell colleziona record: è il senatore del Kentucky rimasto in carica per più tempo – dal 1984 a oggi, sta per esaurire il sesto mandato – ed è il capogruppo repubblicano più longevo (resiste dal 2002). Un “osso duro” pure per la coriacea Pelosi, cui certo non manca l’esperienza.

Mitch dovrà essere al Senato quello che Nancy è stata alla Camera (in modo antitetico): il regista del processo, che mirerà a condurre in porto in modo indolore per il suo boss nel tempo più breve possibile, evitando testimoni scomodi, come quel John Bolton che dice di avere voglia di parlare, ma si fa pregare per farlo, e chiamando invece a deporre, più nella veste di accusati che di testi, proprio Pelosi, Adam Schiff il maratoneta (presiede la Commissione Intelligence della Camera), magari Joe Biden.

Sui capi di imputazione contestati a Trump, abuso di potere per le pressioni sull’Ucraina perché aprisse un’inchiesta su Biden, suo potenziale rivale nella corsa alla Casa Bianca – bloccando aiuti per 391 milioni di dollari già stanziati dal Congresso – e ostruzione alla giustizia, avendo negato testimoni e documenti al Congresso. Tranne una o due eccezioni, i deputati hanno votato rispettando la disciplina di partito: 230 democratici a favore, 197 repubblicani contro. Una curiosità: Tulsi Gabbard, deputata delle Hawaii, candidata alla nomination democratica a Usa 2020, ha votato “presente” invece che “sì”.

La giornata dopo il voto è stata dedicata alle reciproche invettive. La palla l’ha Pelosi: tocca a lei decidere quando passarla al Senato, quindi a McConnell. Trump e i repubblicani vogliono liberarsi in fretta della rogna dell’impeachment; i democratici chiedono garanzie che il processo non diventi una farsa. Il presidente twitta, Mitch negozia; e Nancy, “povera donna”? Se riesce a uscirne bene, lo si capirà forse dal colore del vestito che indosserà quando annuncerà la prossima mossa.



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