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Così l’Italia può guidare la New Space Economy. Parla il prof. Battiston

La nuova governance dello Spazio ha fornito all’Italia le carte per giocare al meglio la ricca partita della New Space Economy. Ora, a fronte di un incremento degli investimenti, la sfida è essere “altrettanto bravi a usare nel modo migliore possibile le risorse a disposizione, senza frammentarle troppo”. In più, serve “un ecosistema che dia una risposta veramente incoraggiante ai giovani, a chi si prende il rischio di investire o di lanciare start up”. Parola di Roberto Battiston, presidente del Comitato scientifico del New Space Economy European Expoforum (apertosi oggi a Roma), già presidente dell’Agenzia spaziale italiana (Asi). Lo abbiamo raggiunto a margine dell’apertura ufficiale della manifestazione fieristica, con tante istituzioni presenti, per capire cosa manca all’Italia per sfruttare a pieno le opportunità della nuova economia dello Spazio. A fine novembre, il livello di ambizione è stato confermato alla ministeriale dell’Agenzia spaziale europea (Esa), dove l’Italia ha quasi raddoppiato il proprio impegno con 2,3 miliardi di euro, pari al 16% del budget quinquennale complessivo.

Professore, da dove nasce l’idea di organizzare questa manifestazione?

L’idea di organizzare un appuntamento dedicato alla New Space Economy è stata una conseguenza coerente e logica di tutto il lavoro svolto in Asi negli anni scorsi, al fine di adattare le politiche e le strategie nazionali del Piano Space Economy, e del Programma Stralcio già operativo, al contesto nazionale di industrie e utilizzatori, cercando di anticipare i mercati che si stanno attivando. Siamo partiti dal constatare che lo Spazio tradizionale è un settore forte e pulsante, ma chiuso in se stesso. Dato che l’elemento di “economy” richiede l’apertura di prodotti, applicazioni e dati spaziali a una grande quantità di persone e utilizzatori, è necessario aiutare il processo con occasioni di scambio come questa.

Si punta a coinvolgere nello Spazio anche realtà di altri settori?

Sì. La nuova economia di Internet e della rivoluzione digitale si basa sui dati, e richiede un’ampia e diversificata quantità di utenti. Con un varietà infinita di declinazioni e di informazioni, la ricchezza si produce in modo diverso rispetto al passato. Non si vende un oggetto a fronte di un risultato, ma piuttosto si regala qualcosa in prospettiva di un pagamento indiretto, tramite dati, pubblicità e altre modalità. Lo Spazio, che produce moltissimi dati, sta entrando in questa prospettiva.

Sembra ruotare tutto intorno ai dati.

Parliamo di 250 terabyte al giorno, un numero spaventoso, forse troppo. È l’oro nero dello Spazio di oggi, i Big data, che arrivano da oltre l’atmosfera e che verranno integrati con altri dati terrestri, producendo nuove applicazioni a seconda delle esigenze. In tale dinamica, è necessario portare ambiti che non si conoscono a sedersi allo stesso tavolo.

Perché?

Perché fino ad ora la tendenza del settore spaziale è stata la produzione di “technology driven apps” e non di applicazioni basata sul cliente. Eppure, il prodotto deve essere costruito sulla base delle necessità dell’utilizzatore. Un elemento in più o in meno può determinare il fallimento o il successo economico di un prodotto. È per questo che occorre provarci e mettere insieme i contesti, ed è per questo che tra gli espositori qui a Fiera di Roma ci sono player tradizionali e attori completamente nuovi.

L’apertura dello Spazio che ci sta descrivendo guarda anche ai prodotti che saranno necessari, in prospettiva, a chi viaggerà verso Marte, o agli abitanti di colonie lunari?

Il messaggio può essere lanciato anche molto lontano, ma quando si parla di economia, e specialmente di servizi ottimizzati che devono costare poco ed essere moltiplicati per tante persone, si parla di breve termine. Nessuno oggi parlerebbe di Space economy se si guardasse solo molto lontano, ad esempio verso costellazioni di satelliti intorno alla Luna. La realtà è che abbiamo già costellazioni intorno alla Terra e tantissimi dati, molti dei quali rischiano di non essere utilizzati perché spesso le iniziative sono state technology driven, prive di un “business case” preciso. La sfida è trovare player tradizionali (e ciò è stato facile) e convincerli a venire a incontrare degli sconosciuti (in termini di estraneità allo spazio), e viceversa. Solo così, tramite il networking, si avrà la piena maturazione della New Space Economy e il mercato raggiungerà la piena potenzialità economica.

Per ora come è messa l’Italia, quantomeno sulle conoscenze tecniche e sui player tradizionali?

Abbiamo una filiera completa, con tante Pmi e diversi grandi player. Vantiamo poi una posizione rafforzata nell’Agenzia spaziale europea (Esa) dopo il recente appuntamento di Siviglia. Le ultime tre ministeriali (2014, 2016 e 2019) sono andate una meglio dell’altra, con un crescita continua e una continuità di investimenti in termini di sistema-Paese. Per l’Italia, seppur con alti e bassi, è così da decenni. Possiamo dire qualcosa a livello mondiale perché non abbiamo mai smesso completamente di lavorarci. Oggi, c’è inoltre una grande effervescenza di start up e nuove iniziative imprenditoriali.

Cosa manca?

Non dobbiamo pensare che le risorse a disposizione, sebbene crescenti, siano tutta la storia. Serve capacità di competere, di assumersi dei rischi e di dare spazio ai giovani. Lo Spazio sta cambiando. Le ditte che fanno nano-satelliti non sono uguali a quelle che fanno satelliti geostazionari per telecomunicazioni. Il mercato fatica però ad assorbire le novità, e questo è vero per tanti altri settori. È la storia dei giovani italiani che aprono start up nella Silicon Valley. C’è l’esigenza di un ecosistema che dia una risposta veramente incoraggiante a chi si prende il rischio di investire o di lanciare nuove iniziative.

In questo ecosistema, che ruolo hanno le istituzioni? Oggi l’Italia ha una nuova governance e diversi rappresentanti del governo erano al lancio dell’Expoforum.

Mi sembra evidente che in questo momento, per il modo in cui lo Spazio viene affrontato e discusso all’interno del nuovo Comitato interministeriale di palazzo Chigi, le decisioni prese abbiano una grande forza politica. È l’intero governo che si esprime sul tema spaziale, già per sua natura ideologicamente non controverso, visto che parla di innovazione, tecnologia, crescita e futuro, tutti temi condivisibili. Basti pensare che siamo passati da una gestione Lega a una gestione M5S (tra Giancarlo Giorgetti e Riccardo Fraccaro, i sottosegretari delegati, ndr) registrando una continuità significativa. Ricordo che per le ministeriali Esa del 2014 e 2016, gli investimenti, seppure importanti e crescenti, furono decisi con difficoltà di argomentazione e di decisione. Da questo punto di vista non c’è dubbio che sia cambiato tutto. L’attenzione politica e l’efficacia decisionale, anche a livello di finanziamenti, sono assolutamente nuove.

Anche qui, cosa manca secondo lei?

Una cosa sono le decisioni di investimento, un’altra il corretto funzionamento della catena quotidiana di implementazione. L’Asi deve giocare un ruolo importante, così come il Miur, visto che si fa molta ricerca nello Spazio. In più, ci vuole coerenza da parte delle varie istituzioni, perché se le risorse vengono frammentate tra vari ministeri, ognuno dei quali con proprie strutture, l’inefficienza rischia di riprendersi il vantaggio che abbiamo avuto con la decisione strategica di fare investimenti importanti.

Ci spieghi meglio.

Sapendo che la macchina dell’agenzia europea è ben organizzata sull’utilizzo delle risorse e l’attuazione dei programmi, per l’Italia la sfida sarà vedere se, a fronte di un’importante iniziativa in Esa, saremo altrettanto bravi a usare nel modo migliore possibile le risorse economiche a disposizione. Se si parcellizza troppo l’attività spaziale, non avremo risultati positivi. Potremmo ritrovarci tra qualche tempo delusi da un utilizzo non opportuno delle risorse.

Vuole aggiungere qualcosa?

Mi lasci ricordare che questa iniziativa è stata avviata da Fondazione E. Amaldi e Fiera di Roma, con il supporto dell’Asi, la partnership della Space Foundation americana e della Regione Lazio. Sono i cinque elementi che hanno dato stimolo alla manifestazione, a cui si aggiunge la significativa partecipazione dell’Esa e delle altre agenzie europee presenti. L’Europa dello Spazio ha messo insieme le proprie capacità, testimoniando un vero interesse nei confronti di questa iniziativa. Ci auguriamo che sia la prima puntata di una serie. Per ora, mi sembra che ci siano tutte le opportunità per rendere l’Nse Expoforum un appuntamento periodico.

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