Le radici storiche della dottrina nucleare cinese risalgono alle esperienze traumatiche della guerra di Corea e delle crisi dello Stretto di Taiwan negli anni ’50, quando gli Stati Uniti, allora legati alla Corea del Sud e a Taiwan, vagliarono l’opzione di uno strike nucleare contro Pechino. Il traballante rapporto, poi, con l’Urss post-stalinista sarebbe poi culminato nella rottura definitiva del giugno 1959 della cooperazione nucleare. Contemporaneamente alla lacerazione della relazione sino-sovietica venne redatto in Cina il primo vero documento strategico sulle armi nucleari che metteva l’enfasi sullo sviluppo di una forza strategica basata sull’arma nucleare e termonucleare ad alti rendimenti e su vettori missilistici di lungo raggio mentre escludeva esplicitamente lo sviluppo di armi nucleari tattiche. In seguito, un bollettino interno all’Esercito ribadì la convinzione che il valore tattico del nucleare potesse essere neutralizzato conducendo una “guerra popolare” (人民战争) di notte, facendo ricorso alla guerriglia e puntando sulla dispersione delle truppe e sulla ricerca di combattimenti serrati con il nemico. Nel primo comunicato emesso all’indomani dell’esplosione della bomba atomica (ottobre 1964) è contenuta anche una caratteristica distintiva della politica nucleare cinese: il principio del “nucleare di sola difesa”, ovvero l’impegno a non ricorrere all’arma atomica per primi in caso di conflitto. L’impegno ad un No First Use (Nfu) è, quindi, congenito al programma nucleare cinese. Nei documenti strategici cinesi, questa posizione è stata definita come “guadagnare padronanza colpendo solo dopo che il nemico ha colpito” (只有 在 敌人 攻击 后, 才能 通过 攻击 获得 控制 权). In questo modo, la Rpc negava logicamente l’utilizzo della bomba atomica e ogni possibile minaccia nucleare a scopi coercitivi contro tutti i paesi che non fossero dotati di capacità nucleari. La teorizzazione dei leader cinesi era rivolta, quindi, alla seconda mossa di un confronto atomico. La priorità era, infatti, di garantire a Pechino la capacità di un “secondo colpo” ossia la possibilità di rappresaglia counter-value (contro-città) in seguito ad un attacco nucleare nemico, in quella che la letteratura degli studi strategici definisce “deterrenza tramite punizione”. Per tale missione, come puntualizzò Zhang Aiping, uno degli artefici del programma missilistico cinese, non «era necessaria una grande accuratezza» perché non «avrebbe fatto grande differenza se il missile avesse colpito il Cremlino o il Teatro Bol’šoj».
L’eccezionalità della postura nucleare cinese rispetto a quelle contemporanee di Stati Uniti e Unione Sovietica, prima, e Federazione Russa, poi, ha storicamente spinto gli analisti e gli esperti di sicurezza a descrivere il deterrente atomico di Pechino come “minimo”, “di auto-sufficienza”, “ridotto ma efficace”, “esistenziale” tanto per la sua ridotta dimensione quanto per la sua minimale dottrina di impiego. Tali valutazioni sono state alla base di una generale e condivisa fiducia nella stabilità strategica tra la Cina e gli Stati Uniti anche dopo la fine della Guerra Fredda, ovvero del confronto Usa-Urss che aveva inizialmente spinto i vertici della Casa Bianca e dello Zhongnanhai al riavvicinamento. Seppur, a parere di chi scrive, questo ottimismo è stato generalmente ben riposto e ha trovato spesso una validazione empirica, alcuni elementi critici meritano di essere analizzati perché testimoniano quanto il quadro strategico tra quelle che oggi sono la prima e la seconda potenza del mondo possa soffrire scossoni inattesi. Sono tre le osservazioni da fare in materia.
La prima è di natura storica. La caratterizzazione dell’arsenale atomico cinese come “minimo” e “di second strike” ignora alcuni dati importanti della storia del programma nucleare e missilistico della Rpc. Ad esempio, nel decennio successivo alla morte di Mao (settembre 1976), il processo di innovazione dottrinaria militare avviato da Deng Xiaoping coinvolse anche l’arsenale nucleare. Se da una parte venne confermata l’adesione ad una postura di Nfu, dall’altra la Commissione Militare Centrale, la massima autorità per la politica di difesa cinese, diede il proprio assenso alle fasi di studio, sviluppo, test e schieramento di due ordigni che rompevano con la tradizione maoista: le armi nucleari tattiche e la bomba al neutrone. Per quanto riguarda il primo tipo di armamento, nel giugno del 1982 l’Esercito Popolare di Liberazione condusse un’esercitazione nella provincia di Ningxia in cui simulò sia l’utilizzo offensivo delle testate nucleari tattiche che le manovre di difesa da un attacco atomico sul campo di battaglia. Contemporaneamente, Pechino approfondì la possibilità di sviluppare anche l’arma al neutrone (ER) arrivando nell’ottobre 1982 ad un test sotterraneo che produsse un’esplosione di circa 7 chilotoni. Jonathan Ray, in uno studio recente, conclude che tale test fosse l’esplosione di una bomba ER. I due armamenti entravano in fondamentale contraddizione con la dottrina nucleare elaborata e i pochi documenti strategici redatti durante l’era maoista e dimostrano come la dottrina nucleare cinese pur dimostrando una generale coerenza non sia stata esente da deviazioni dal percorso tracciato.
Il secondo elemento da osservare riguarda i documenti strategici pubblicati dalla Repubblica Popolare negli ultimi tre lustri. Il manuale Science of Second Artillery Campaigns (Sac-04) del 2004 del Second Artillery Corps, il corpo a capo dell’arsenale missilistico cinese (oggi rinominato Forza missilistica dell’Epl) potrebbe segnare un’importante innovazione nella postura nucleare cinese e aprire la strada ad una maggiore flessibilità nell’adesione al Nfu. Secondo il documento, la Rpc si riserva di abbassare la soglia atomica in risposta alla “minaccia di attacchi convenzionali su impianti nucleari, su importanti obiettivi strategici e contro i centri politici o economici” e nel caso caso di “intensificazione prolungata di un conflitto convenzionale”. Se vera, questa appendice rappresenterebbe un significativo spostamento rispetto alla tradizionale strategia nucleare cinese. Tuttavia, alcuni studiosi mettono in dubbio la veridicità del Sac-04 e lo considerano più un bluff seguito alla decisione unilaterale degli Stati Uniti di uscire dal Trattato anti-missili balistici nel 2002. Anche l’edizione 2013 dello Science of Military Strategy (Sms-13) dell’Accademia delle Scienze Militari dell’Epl sembrerebbe aver introdotto alcuni cambiamenti degni di nota. Originariamente concepito come pubblicazione interna, SMS-13 è stato recuperato e diffuso dalla Federation of American Scientists, consentendo agli studiosi di avere un quadro molto più dettagliato della visione strategica cinese. Se da una parte Sms-13 conferma l’adesione all’Nfu, alcuni analisti hanno sottolineato la novità di alcuni passaggi del documento. Ad esempio, il testo rivela che Pechino si riserva di passare a una postura di launch-on-warning quando le «condizioni lo consentono e quando diventa necessario». Una posizione simile se, da un lato, potrebbe essere considerata coerente con l’impegno al “nucleare di sola difesa”, dall’altro, aumenterebbe notevolmente l’incertezza strategica attorno all’arsenale nucleare cinese. La Strategia militare del 2015 ha raccomandato di migliorare i «sistemi strategici di early warning e di comando e controllo» dell’Epl così da aumentare la capacità di «dissuadere altri paesi dall’utilizzare o minacciare l’impiego di armi nucleari contro la Cina» prevedendo così la possibilità di ritorsioni nucleari senza che necessariamente sia stato effettuato un primo colpo nemico. Nel 2019, il Libro bianco sulla difesa nazionale ha ribadito, invece, l’adesione cinese ad una «politica nucleare di Nfu in qualsiasi momento e in qualsiasi circostanza».
Il terzo e ultimo punto da notare è di natura tecnologica-organizzativa ma produce effetti strategici macroscopici. Come correttamente rilevato da Thomas J. Christensen, negli ultimi decenni la Cina ha sviluppato piattaforme e sistemi che possono svolgere funzioni nell’architettura C4ISR sia convenzionale che nucleare. Questa dinamica crea non pochi problemi per la gestione di una relazione strategica già messa duramente alla prova come quella tra Washington e Pechino. Prendiamo il caso dei satelliti ed elaboriamo uno scenario futuro non impossibile. Una crisi locale (Taiwan? Il Mar Cinese Meridionale? Il Mar Cinese Orientale?) si aggrava fino a sfociare in un conflitto limitato tra la Cina e un altro attore regionale e spingere gli Stati Uniti ad intervenire e neutralizzare i satelliti cinesi utilizzati per l’intelligence navale. La postura nucleare cinese di Nfu imporrebbe alla Cina una risposta convenzionale. Nondimeno, nel caso in cui il sistema colpito svolgesse una funzione chiave nella prevenzione e nell’allerta di un imminente attacco nucleare contro il suolo cinese, tale mossa potrebbe essere letta dalla leadership di Pechino come l’avvisaglia di un tentativo di disarmo strategico. La soglia nucleare verrebbe drasticamente abbassata e i rischi, già associati all’escalation in corso, aumenterebbero esponenzialmente.
I tre elementi presentati potrebbero costituire in futuro altrettanti fattori di instabilità nella relazione strategica tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese già pericolosamente deteriorata. In capo alle leadership dei due Paesi, quindi, si assommano responsabilità enormi nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. Un impegno comune verso un sistema di confidence- and security-building measures, di hotline più stringenti al massimo livello decisionale e di maggiore trasparenza strategica potrebbe portare benefici ed evitare crisi nei prossimi anni.