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Tra memoria e nostalgia. Trenta anni di un muro forse caduto per sempre

Di Nazzareno Tirino

Un muro per dividere e proteggere dall’altro, un’idea che per la scorsa generazione vedeva in Berlino il paradigma di un raffronto impossibile tra due idee diverse del mondo.

Berlino dal 1951 al 1989 era divisa prima da un muro fatto di materiale diversificato per poi divenire solidamente cementificato e protetto dal filo spinato. Il muro[1] rappresentava la volontà di sentirsi diversi per entrambe le parti ma soprattutto l’impossibilità di un dialogo in una città, che dal XII secolo, era stata crocevia di scambi commerciali e culturali.

La “caduta del muro”, così è stata tradotta giornalisticamente la riunificazione tedesca che ha significato il simbolo di una vittoria politica in grado di prevalere sulla storia di un popolo. Il muro era certamente un confine e come tale pieno di forza escludente ed includente al contempo. Berlino rappresentava, anche in termini di potenziale scontro, il luogo ove il confronto atomico tra le due Potenze  globali (Usa e Urss) aveva messo in pausa la Storia. Non aveva fermato il mondo, la tecnologia, le evoluzioni, le vite dei berlinesi, ma sicuramente aveva immobilizzato un confine secondo un accordo che non coincideva con la geografia, con la cultura o con la religione ma certamente con un’idea.

Fin da subito il muro non era solamente una parete di divisione ma era un “muro portante” della geopolitca mondiale.

Era il muro su cui si poggiava ad Est la possibilità di mostrare all’Europa che un altro sviluppo fosse possibile e ad Ovest la proiezione con cui il modello Atlantico si mostrava in grado di supportare la ricostruzione di un Paese nel cuore dell’Europa, il cui destino era indubbiamente scritto nel ruolo di un motore economico europeo. Il confine in mezzo a Berlino con il tempo si è riempito di simboli, idee, intenzioni, altamente rappresentati dalle distanze che intanto le due parti della Germania ampliavano. Se vi fosse stato un fiume al posto di quel muro si sarebbe potuto riempire di liquidi di colori diversi impossibili da mescolarsi. Secondo i racconti più diffusi ad Occidente “il sole del capitalismo”, che splendeva ad Ovest nella Bundesrepublik Deutschland, avrebbe progressivamente abbattuto il muro con la sola richiesta di un Presidente statunitense. Ronald Reagan il 12 giugno 1987 si rivolse al rivale, il segretario generale PCUS Michail Gorbačëv, chiedendo: “Tear down this wall !”, ovvero “Abbatta questo Muro !”. Forse il sole dell’ovest era talmente caldo che voleva potere riscaldare, in un progetto di crescita economica e di benessere, tutti i tedeschi.

Altresì dall’altro lato, nella Deutsche Demokratische Republik, il muro faceva si che la Germania dell’Est si trovasse oscurata dall’ombra di un sole che splendeva sempre solo su un lato e un muro apparentemente costruito proprio per la funzione svolta dall’ombra in cui il popolo veniva mantenuto. Ad Est si rispondeva alla crescita economica con la creazione di nuovi modelli di vita in cui la limitazione del desiderio di libertà fosse bilanciata da un futuro di eguaglianza e conquiste in cui il benessere comune non avrebbe reso più necessario desiderare altro.

Poi un pomeriggio il modello che appariva senza alternative si scontrò con un equivoco comunicativo sulla regolamentazione degli spostamenti dei cittadini dell’Est. Nella dichiarazione del Ministro per la Propaganda della Ddr Günter Schabowski si rivelò ai berlinesi che probabilmente qualche mattone del muro era caduto. Il 9 novembre 1989 il sistema di gestione delle comunicazioni politiche ad Est fu al tracollo e presto l’assenza di regolamenti e piani operativi con cui procedere in quella lunga e lentissima marcia verso un sistema di eguaglianza inciampò in quel mattone caduto dal Muro. In effetti, come tutte le infrastrutture umane, 156 km di linea di separazione richiedevano una costante e continua manutenzione ideologica che forse da troppi mesi mancava. Soprattutto si affacciava un’idea di Europa che avrebbe trovato la cristallizzazione nei trattati del 1992.

In pochi mesi la Germania si trovò riunificata, dopo 28 anni di separazione.

Oggi però resta da chiedersi se sia riuscita nei successivi 30 anni, una volta riunificata, ad essere unita per l’Europa.

Alcuni elementi sociali odierni sono interessanti. In quella che era la Ddr nel 2017 il partito Afd Alternative für Deutschland, fortemente euroscettico (fino all’ipotesi di uscita anche dall’euro), che nelle elezioni federali per il Bundestag del 2017[2] ha superato il 12%, ha la più forte rappresentanza ad Est della Germania e secondo molti sondaggi pare essere in ascesa proprio li.

L’Est della Germania è ancora una realtà estremamente rurale, nessuna tra le prime 20 aziende tedesche quotate in borsa ha la sede principale ove vi fu la Ddr. La popolazione ad Est produce una percentuale annua di Pil Pro Capite tra i 20.000 euro e i 30.000 euro di media mentre ad Ovest vi sono aree in cui il valore è tra 50.000 e 70.000 euro. Il tasso di disoccupazione a Nord Est supera il 3.5 % di soglia nel resto del Paese. Chi vive nella ex Ddr si dichiara ateo in una percentuale superiore al 50% (dal censimento del 2011) mentre vi sono luoghi fortemente cristianizzati. Lungi dal volere considerare le differenze tralasciando la forze del processo di riunificazione quello che tuttavia colpisce, a fronte di un periodo che ricomprende una intera generazione di persone, è il rischio della costante Ostalgie.

Il termine sorto dall’unione di Olsten (Est) e Nostalgie (Nostalgia) nel 1993 risultò tra le parole più rappresentative dell’anno dalla Società per la lingua tedesca[3]. Il fenomeno di consumo di miti solidamente ancorati all’idea di un modello di Est diverso (ben narrato nel film Good Bye Lenin ! del 2003) pare riproporsi anche nell’anniversario della caduta del muro tra i social media e i locali più alla moda di Berlino[4]. Sempre più spesso i social media infatti rappresentano una piazza in cui è semplice scambiare idee, opinioni ed emozioni e ricordare simboli a cui ancorare il proprio smarrimento.

La caduta del muro nel 1989 infatti fu tragica. Come però avviene anche alle persone, spesso cadere non significa non rialzarsi più, i tempi di recupero potrebbero essere lunghi fino a piegare la volontà della risalita, ma la responsabilità che lì o altrove un altro Muro non si rialzi spetta agli spettatori che oggi stanno ad osservare le macerie.

Speriamo non sia il caso di chiedersi a quale modello si stia lavorando, come fece l’illustre cittadino della Germania dell’Est Bertolt Brecht al proprio alter ego, in Storie del signor Keuner[5].

– A che cosa lavora? – fu chiesto al signor Keuner.

Il signor Keuner rispose: – Sto faticando: preparo il mio prossimo errore

Nazzareno Tirino


[1] Tra I tanti riferimenti per un Quadro completo si rimanda a: Fabio Bertini e Antonio Missiroli, La Germania divisa, Giunti Editore, Milano, 1994 ;Charles S. Maier, Il crollo. La crisi del comunismo e la fine della Germania est, Il Mulino, Bologna, 1999.

[2] Cass Mudde, What the stunning success of AfD means for Germany and Europe, “The Guardian” 24 Sep 2017, all’indirizzo: https://www.theguardian.com/commentisfree/2017/sep/24/germany-elections-afd-europe-immigration-merkel-radical-right

[3] Si legga a tal proposito: Paul Cooke, Representing East Germany since unification. From colonization to nostalgia, Oxford, 2005.

[4] Il fenomeno ovviamente non apparso solo con questo anniversario: Francesca Iaconisi, Ostalgie e moda a Berlino: un revival mancato?, in Storia e futuro, vol. 42, 2016.

[5] Bertolt Brecht, Storie del signor Keuner, Einaudi, 2013.



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