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Vi racconto l’intrigo internazionale sul Mes. Il commento di Pennisi

Vi ricordate Intrigo internazionale (North by Northwest) un film di Alfred Hitchcock, universalmente considerato una delle opere migliori del regista inglese? Ritorna spesso in televisione. In questi giorni, però, lo stanno vivendo in Italia la politica, la finanza ed un po’ i cittadini tutti.

In effetti, man mano che si esaminano i dettagli della vicenda della revisione del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), appare sempre più che si tratta di un vero e proprio intrigo internazionale di cui non è facile capire se al prossimo Consiglio europeo (12-13 dicembre) si avrà una svolta. Andiamo con ordine. Nel settembre 2012 (quanti se lo ricordano?) la Corte Costituzionale tedesca ha dato un’approvazione condizionata alla partecipazione della Germania federale all’accordo intergovernativo (ed al versamento della quota di Berlino, dietro autorizzazione del Parlamento) sul Mes.

Ha anche messo dei paletti: ulteriori versamenti sarebbero stati approvati dal Parlamento e soggetti ad una verifica dell’efficacia del meccanismo in termini di stabilità finanziaria nell’Eurozona. Il peso debito sarebbe stato uno degli indicatori principi della validità dello strumento. Cinque anni dopo, è stata fatta la verifica. La conclusione è che l’applicazione dell’accordo originario era stata un po’ lasca.

Alcuni Stati – inutile dire quali – ottenevano dalla Commissione europea autorizzazione ad una “flessibilità” che creava disavanzi di bilancio ed aumenti del debito. Quindi, per curare questa disfunzione si dovevano limitare le funzioni della Commissione (organo composto da politici provenienti dai Governi e, quindi, propensi a mediare) in materia di analisi della sostenibilità del debito ed aggiungere una serie di vincoli tecnici. A rendere più cogente il Mes, si imponeva (art.34 dell’accordo rivisto) a tutti coloro che operavano sul Mes la più stretta riservatezza: pure i ministri possono parlare dei temi Mes solo nell’ambito del Mes medesimo, senza scambiare idee con i colleghi in Patria e men che meno riferirne in Parlamento. Ed è difficile vedere come le toghe rosse di Karlsruhe (la Corte Costituzionale tedesca) possano accettare questo articolo. E come possa farlo, in caso di ricorso, la Corte Costituzionale italiana.

Per questo motivo, nonostante che i testi scaturiti dal negoziato per la riforma del Mes venissero pubblicati, poco o nulla si è saputo della trattativa e dei suoi dettagli. Man mano che i testi apparivano, sorgevano i dubbi. Non solo nella maggioranza (allora gialloverde), come dimostra la mozione Molinari-D’Uva del giugno scorso. Ma anche nelle opposizioni. Pochi ricordano le prese di posizione anti-revisione del Mef da parte di esponenti del Pd. Ora, per ricordare un detto inglese, c’è un elephant in the room (ossia imbarazzo) a largo del Nazareno.

L’imbarazzo è aumentato quando è arrivato l’appello di un folto gruppo di economisti, in gran misura continui al centro sinistra, i quali invitano a non firmare la revisione del Mes con termini molto più severi da quelli utilizzati da Matteo Salvini e Giorgia Meloni. C’è sbigottimento e subbuglio in sezioni del Pd.

All’intrigo internazionale si aggiunge il gioco delle parti interno: una forza politica che ha criticato la revisione del Mes sulla base di quello che trapelava del negoziato, ora si trova a difenderlo. C’è imbarazzo anche nel M5S, la cui base rumoreggia contro la modifica dell’accordo mentre il capo politico e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale fa il pesce in barile.
Come finirà? Non ho firmato l’appello perché penso che probabilmente i togati di Karlsruhe bloccheranno le ratifica ed in caso non lo facessero, a questo punto è meglio ratificare la revisione dell’accordo (dopo aver sollecitato ed ottenuto il parere della Consulta) che essere l’unico dei 19 Stati interessati a non farlo – i mercati potrebbero pensare che l’Itala sia sull’orlo dell’insolvenza. Ove approvato e ratificato, il Mes riveduto e corretto rappresenta una tagliola che ci costringerebbe a fare politiche sane di finanza pubblica e di crescita.

Alla prossima puntata.

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