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Phisikk du role – A chi conviene (e a chi no) far saltare il governo

Sorge spontanea la domanda: ma quanto ancora potrà mai durare sto’ governo in cui la cifra di identificazione è il conflitto, peraltro per nulla sordo e muto, ma, al contrario ciarliero e rumoroso come il pubblico del bar sport durante il derby Roma-Lazio? Non occorre fare il resumé del Conte II per avere qualche idea sui capitoli divisivi piuttosto che collaborativi del M5S col Pd e & soci: “salvastati”, Ilva, riforma della giustizia, solo per tirare fuori tre numeretti a caso dalla sacchetta della tombola, ma ogni altro numero è buono fino a novanta.

Né, onestamente, appare questa grande idea la “grillinata” del nuovo “contratto di governo”: qualcuno dovrebbe spiegare al popolo che il contratto è una figura giuridica da maneggiare con cura tra soggetti che possono disporre del bene trattato e a cui possono essere comminate sanzioni in caso di inadempienza. Ora accade che la “materia” del contratto è il bene pubblico, di cui non dispone nessuno dei contraenti e poi, se qualcuno dei firmatari non dovesse fare quel che si è obbligato a fare, che succede? Si fa ricorso al Tar? Ma andiamo, su, non è con le parole altisonanti che si cambia la realtà.

Ma, torniamo al punto: durerà? Qualche telegrafica (che, sia detto per i millennians, è meno lunga del tweet) considerazione. N.1: non facciamo ancora l’errore di considerare il M5S come fosse un partito, con tutti gli annessi e connessi (contendibilità del vertice, procedure congressuali, riferimenti ideologico-programmatici, ecc.) del caso. Siamo di fronte a qualcosa d’altro e di diverso che oscilla tra i due poli del leaderismo manageriale dell’azienda madre e dell’istintualità disintermediata del popolo del web. È un fenomeno che va considerato scientificamente prima ancora che politicamente. E, nell’un caso così come nell’altro, vanno gettate nella spazzatura le chiavi di lettura della politica politicante, ivi comprese quelle che aiutavano a capire il valore delle alleanze.

N.2: da N.1 discende che l’approccio del Pd – sopravvivenza della specie ormai estinta del partito “strutturato” -nel rapporto con il principale partner di governo è sbilanciato. Chissà forse pensava di svolgere una funzione “maieutica” col M5S, di condurlo alla maturità che si addice ad una forza di governo, e forse anche di avvantaggiarsi della sua acerbità. Invece è accaduto tutt’altro: il “non-partito” ha messo in cassa risultati politici lontani dal dna del Pd – vedi la sciagurata riduzione della rappresentanza parlamentare – forse senza trarne particolare godimento elettorale, ma sicuramente non facendo bene ai Democrat.

N.3: in un’altra storia, forse da prima Repubblica, il Vietnam quotidiano tra alleati avrebbe portato alla caduta rovinosa del governo. Nella terza Repubblica no: il breve ricordo del Conte I dovrebbe essere sufficiente a raccontare che solo la ragionevole attesa di una grande convenienza elettorale (quella che presumeva di avere Salvini) può portare alla rottura dell’alleanza. Per cui la guerriglia potrà durare ancora, a meno che non ci fosse la convenienza del voto per qualcuno. E per chi?

Beh, a guardar bene Zingaretti potrebbe averla: già ad agosto aveva issato le bandiere di guerra e si preparava, come minimo, a fare il capo dell’opposizione con un parterre parlamentare di suo gradimento. E forse anche qualcun’altro potrebbe avere interesse: a far bene i conti quando diventerà operativa la riforma col taglio di 345 parlamentari parecchia gente che oggi abita quei palazzi non avrebbe nessuna speranza di tornare. Il che può suscitare due reazioni: cerchiamo di resistere il più possibile, oppure, andiamo a votare prima che il taglio entri in opera. Il che significa andiamo a votare entro marzo.

Comunque sia non prima di aver proceduto con le famose nomine che ballano da un bel po’ negli odg del governo.

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