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La verifica di Conte è tutto un (crono)programma. Ocone spiega perché

verifica

“Verifica” è, nel gergo politico italiano, lemma evocativo. Rimanda ad altri tempi, ad altre stagioni: quelle della prima Repubblica ove una sostanziale stabilità dei governi faceva contrasto con il riposizionamento continuo di leader e leaderini nei posti di potere. Ora la verifica la invoca Giuseppe Conte, a gennaio però: dopo l’approvazione della legge di bilancio e dopo il panettone. Anche questo è molto prima Repubblica: i tempi lunghi allora servivano a stemperare, assopire, troncare.

Difficile però che possa accadere oggi, con la politica che è comunicazione in tempo reale. E con due “cavalli pazzi” che ogni mattina, in seno al governo, fanno opposizione pur stando dentro. Lo ha ammesso con molto candore stamattina Goffredo Bettini in una trasmissione radiofonica: così non si può andare avanti e che non si può aspettare ogni mattina l’ultima dichiarazione ostile, o addirittura l’ultimo diktat, di Matteo Renzi e Luigi Di Maio. Conte ha dovuto prendere atto della sortita del politico romano, invocando anche lui appunto la chiarificazione.

Bettini non è infatti solamente un grande elettore del suo governo, ma anche colui che all’alleanza fra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico aveva dato un respiro organico e di prospettiva. Il che, allo stato attuale, sembra del tutto prematuro, se non irrealistico. E se mai si realizzerà dovrà forse passare attraverso una scissione del Movimento e una risoluzione del conflitto, che è nei fatti prima che nelle intenzioni, di Conte con Di Maio. Un altro termine chiave nella dichiarazione di Conte è stato “cronoprogramma”.

A parte la patina di modernità data dal prefisso “crono”, che sembra alludere ad orologi di alta precisione e altre diavolerie digitali, anche “programma” è termine antico ed equivoco quanto altri mai. I programmi sono una bella cosa, ma restano puro flatus vocis se non si collocano alla convergenza degli interessi concreti e reali delle forze politiche in campo. Ed è proprio questa convergenza che oggi è in discussione.

Il problema vero per il governo non è oggi, a mio avviso, Luigi di Maio ma Matteo Renzi. Si impegnerà il senatore di Rignano fino al 2023 come gli chiederanno il premier e Nicola Zingaretti durante la verifica? Sembra strano che ci si ponga questa domanda a soli due mesi dalla nascita di un governo di cui proprio Renzi fu un altro dei grandi elettori.

Ma, evidentemente, qualcosa è cambiato nelle convinzioni del leader di Italia Viva sulle reali prospettive future del suo partito. E probabilmente la convergenza nazarenica con Forza Italia potrebbe, nei suoi pensieri (istillati da qualcuno?), rinnovarsi ed allargarsi molto più a destra. In cambio, chissà?, di qualche buona garanzia. Ah, saperlo! Intanto, Conte vuole spiazzarlo e stanarlo. O almeno a prendere una decisione definitiva, qualora fosse ancora incerto come io penso. Casomai sotto l’albero di Natale, al caldo della sua casa toscana.

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