Le dimissioni di Fioramonti cedono il passo a due ministri delle due forze politiche “alleate”, in una logica che appare di spartizione, più che di competenza. Almeno, il popolo la intende così. Con il fastidio di un “corpaccio” che invoca la spending review di cottarelliana memoria. A questi esagitati si risponderà che due ministeri ben funzionanti costano meno dei fondi richiesti dall’unico ministro. Speriamo.
Gli auguri ai neo ministri sono d’obbligo, ma non formali: dei buoni auspici fa parte la memoria che la gente – e non solo il corpaccio di manzoniana memoria – ha ben presente. È bene dunque che i neo ministri – sicuramente già personalmente informati sul tema – si sentano interpellati sulla madre di tutte le questioni: che cosa è vitale per la scuola italiana? Vitale nel senso di “necessario”, cioè senza il quale una realtà non può esistere.
Sono necessarie continuità, pluralismo, qualità, giustizia, equità. Spendendo meglio le risorse che ci sono e soprattutto avendo chiaro il quadro delle risorse e degli sprechi. Immagine plastica, una brava preside del Sud ha detto, qualche tempo fa: “Mi vergogno a mostrare le cantine della mia scuola: macchinari costosissimi ancora imballati e già polverosi”.
Lo Stato ritrovi dunque il suo ruolo di controllore, di gestore modello e di garante dei diritti che riconosce, altrimenti non solo è a rischio lo Stato di diritto, ma chi legifera e governa si riterrà autorizzato a cancellare gli articoli 2, 3, 30 e 33 della Costituzione, uscire dall’Onu e istituire un regime di monopolio educativo dove l’unica scuola è quella a gestione statale, contro ogni logica di diritto, di economia e di buon senso, e contro ciò che avviene in tutta Europa, tranne in Grecia e in Italia.
Il genitore – ricco o povero che sia – ha il diritto di scegliere l’educazione per i propri figli. La scelta implica un pluralismo di offerta formativa, altrimenti non ha senso. È regime. L’offerta formativa pubblica, per legge (L. 62/2000) è gestita sia dallo Stato che da privati convenzionati (comuni, province, istituti accreditati), attraverso l’utilizzo di quanto versato dai cittadini contribuenti. “Servizio pubblico” non è sinonimo di “Servizio gestito dallo Stato”. “Scuola pubblica” non è sinonimo di “Scuola gestita dallo Stato”. Ma sono concetti ben chiari alla cultura dei neo ministri, come alla coscienza del cittadino consapevole.
A 20 anni dalla legge sulla parità scolastica – cioè sulla libertà di scelta educativa – il cittadino intelligente povero o ricco che sia, il quale lascia allo Stato, in imposte, in media il 50% del proprio lavoro, ha il legittimo desiderio di essere smentito dal ministro di turno e di competenza sulle seguenti questioni ormai accertate da studi accurati.
Le scuole paritarie non sono un onere ma un vantaggio per lo Stato in quanto, in una gravissima illogicità di sussidiarietà al contrario, le famiglie italiane che scelgono di diritto le paritarie finanziano il disavanzo del ministero e quindi dello Stato italiano.
Lo Stato italiano preferisce spendere di più e male pur di ledere ideologicamente il pluralismo educativo, che è un diritto costituzionale. Un esempio: i 300 alunni dell’Istituto Vittoria Colonna di Milano – se trasferiti in blocco alla scuola statale – costerebbero all’imposizione fiscale euro 300 X 10.000 = 3.000.000,00 di euro annui.
Nessun guadagno da una cultura statalista della scuola che sembra indirizzarsi verso il monopolio. Si abbassano il livello culturale, la coscienza critica, la capacità di argomentare. La Storia dice che nessun monopolio educativo, da Sparta in poi, ha resistito ai colpi del tempo e dell’economia.
Alle suddette questioni occorre rispondere con l’attuazione di un effettivo pluralismo, assegnando alla famiglia (o alla scuola tutta, statale e paritaria) una quota capitaria da spendere per la scuola scelta e innalzando il livello di qualità sotto lo sguardo garante e controllore dello Stato, che spenderebbe 5.500 euro annui, contro i 10mila spesi oggi.
Se il ministro dell’Istruzione in carica di turno si ritiene legittimato a fare il contrario se ne assuma la responsabilità di fronte a famiglie, scuole, docenti, e di fronte ai propri elettori, anch’essi depositari del diritto di scelta educativa in un pluralismo formativo.