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L’arma dei social media nello scontro fra Hong Kong e Pechino

Di Lucía Morales

Per comprendere i conflitti latenti tra Hong Kong e Pechino, è necessario esaminare le loro relazioni storiche. Il Regno Unito restituì la città alla Cina nel 1997, dopo 150 anni di controllo britannico. Negli anni 50 la città era divenuta un trafficato porto commerciale e si sviluppò economicamente, divenendo una colonia prospera e democratica, uno dei più importanti hub portuali globali e un fondamentale centro finanziario.

Questa condizione, tuttavia, è a rischio a causa delle ingerenze sempre più accentuate nel sistema democratico di Hong Kong da parte delle autorità cinesi. Le relazioni fra Hong Kong e Pechino sono state sempre caratterizzate da difficoltà e conflitti, ma ancora oggi gli abitanti della città cantonese godono di libertà ignote ai cinesi dell’entroterra. Per esempio, Hong Kong è l’unico luogo in Cina dove è possibile commemorare il massacro di Tienanmen del 1989, durante il quale nella città si protestò con marce dimostrative, e a cui si dedicano cerimonie di commemorazione delle vittime ogni anno (cosa impossibile in altre regioni cinesi).

Queste libertà sono diventate una fonte di preoccupazione per Pechino, dato che portano a cicliche proteste contro le autorità cinesi che, di conseguenza, tentano costantemente di esercitare un controllo maggiore, che suscita una reazione difensiva da parte di Hong Kong, con croniche proteste che hanno avuto luogo sin dalla restituzione della città alla Cina.

Fra queste: le manifestazioni del 2003 contro le riforme riguardanti la sicurezza nazionale; l’opposizione alle proposte modifiche del programma scolastico della regione del 2012, visto come un tentativo di manipolare i giovani di Hong Kong; la riforma del sistema elettorale del 2014, che portò alla (fallita) Rivoluzione degli ombrelli; i disordini di Mong Kok del 2016; le proteste di quest’estate contro la legge sull’estradizione. Queste ultime devono dunque essere viste non come un fenomeno isolato, ma come espressione di un fenomeno più che ventennale.

Ciò non toglie che gli sviluppi recenti stiano prendendo una piega più grave e significativa. Gli anni 2016 e 2019 hanno infatti visto un significativo cambiamento del tenore delle proteste, passate da eventi pacifici a violenti scontri nelle strade fra manifestanti e forze di polizia. La storia di Hong Kong dimostra che i suoi cittadini sono più che pronti a marciare per protestare e far sentire la loro voce per difendere i propri diritti civili e politici dalle autorità cinesi, data l’elevata preoccupazione per i diritti umani ed eventuali limitazioni alla democrazia, ma prima del 2016 la violenza era stata relativamente rara.

I social media possono aver giocato un ruolo in questo, che va considerato con attenzione. La città non è nuova infatti a manifestazioni e proteste, ma questi nuovi mezzi di comunicazione possono avere effettivamente introdotto dei cambiamenti, data la possibilità che offrono di manipolare o celare informazioni. Durante le proteste di quest’anno, per esempio, vi è stata un’ondata di immagini della brutalità della polizia e dei manifestanti, utilizzate da entrambe le parti per demonizzare gli avversari e promuovere il proprio schieramento. Ciò può avere influito nel trasformare dimostrazioni pacifiche in manifestazioni molto più violente e distruttive.

I social media stanno anche giocando un ruolo nella crescente difficoltà nel distinguere tra informazioni attendibili e manipolate, oppure aiutano nel nascondere l’identità degli organizzatori delle proteste, rendendo molto difficile scoprire chi siano i veri leader del movimento di opposizione. Di conseguenza, le nuove tecnologie di comunicazione possono a tutti gli effetti essere considerate come un fattore che contribuisce a giustificare determinate posizioni filocinesi, che invocano l’utilizzo di poteri speciali per controllare la violenza e i disordini.

Un cambiamento, questo, che potrebbe portare all’introduzione di leggi di emergenza che minerebbero le fondamenta dei diritti civili e democratici di cui Hong Kong ha finora goduto.


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