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Alcune lezioni da reddito di cittadinanza e quota 100

Si disse a suo tempo che reddito di cittadinanza e quota 100 avrebbero consentito di raddrizzare il legno storto del nostro sviluppo socio-economico, per la semplice ragione che il sussidio, associato a politiche attive per il ricollocamento, e la pensione anticipata avrebbero fatto sinergia promuovendo insieme l’occupazione e la spesa delle famiglie, realizzando quella che con un’iperbole fu definito il nuovo miracolo italiano.

Tornare su queste memorie non ha fini maramaldeschi, visto che non serve infierire su un paese che ha il chiuso il suo “anno bellissimo” con una crescita dello 0,2% e prevede di completare il suo nuovo miracolo italiano con una crescita dello 0,5% quest’anno.

Serve, invece, a mostrare come giovi poco spacciare soluzioni semplici – magari basate su identità contabili – per risolvere problemi complessi. Dovrebbe ammetterlo anche chi ancora predica magici effetti moltiplicativi del deficit pubblico, quando al massimo questi ultimi servono a moltiplicare i consensi presenti a spesa del futuro.

Veniamo al punto. I dati contenuti nell’ultimo bollettino economico di Bankitalia ci dicono che quel poco di crescita del 2019 è arrivato dalla domanda interna (spesa famiglie+investimenti fissi lordi) e dall’export.

L’anno prossimo invece il contributo dell’export si stima verrà più che compensato dalla crescita delle importazioni, con la conseguenza che non avrà effetti sulla crescita stimata, interamente dipendente dalla domanda interna. In particolare, l’unica componente a “tirare” dovrebbe essere la spesa delle famiglie, visto che gli investimenti declinano.

Sulla spesa delle famiglie, scrive Bankitalia, “il Reddito di cittadinanza innalzerebbe la spesa delle famiglie per un ammontare cumulato di circa 0,3 punti percentuali tra la seconda metà del 2019 e il 2020”. Eccolo qua il “magico” effetto moltiplicativo. Da un punto di vista macro l’effetto, che pure c’è, sembra assolutamente sproporzionato rispetto allo sforzo finanziario richiesto per generarlo. E con ciò non si vuole minimizzare il beneficio che molti ne hanno avuto, al netto pure delle tante distorsioni economiche o vere e proprie truffe che tale istituto ha stimolato. Semplicemente è giusto interrogarsi se tale beneficio non si sarebbe raggiunto ugualmente – e magari anche maggiore – con strumenti diversi.

La stessa domanda vale per Quota 100, altro provvedimento simbolo dell’altra ossessione che nutre questo paese: le pensioni. I promotori di questo provvedimento raccontarono agli italiani – che erano ben lieti di ascoltare – che il pensionamento avrebbe liberato posti di lavoro, con ciò dimostrando di avere una comprensione approssimativa dei meccanismi del mercato del lavoro e della letteratura specifica. I pochi che osservarono che non esiste alcun automatismo che associ un nuovo posto di lavoro – anche più di uno secondo alcuni – a un pensionato furono classicamente tacciati di disfattismo.

Sempre Bankitalia scrive nel suo Bollettino che “l’occupazione crescerebbe a tassi moderati, poco più di mezzo punto percentuale all’anno nel periodo 2020-22”. Ciò in quanto “in linea con le regolarità empiriche” le uscite dal lavoro connesse all’approvazione di quota 100 “verrebbero solo parzialmente compensate da assunzioni”. Addirittura, “l’impatto di queste misure sull’occupazione complessiva
sarebbe nell’ordine di -0,4 punti percentuali”.

Alla fine tutto ciò che abbiamo ottenuto con queste misure è molto poco rispetto al tanto che ci sono costate, e non solo dal punto di vista economico. E, non contenti, continuiamo a parlare di riforma delle pensioni.

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