L’impianto dei cinque punti, dei principi/culturale/politico-istituzionale/economico/giuridico, costituisce la base su cui costruire la nostra ricerca.
Pur se ciascuno dei cinque punti riguarda un ambito particolare, non è quella particolarità che lo rende “compiutamente” tematico; la compiutezza, infatti, è una tensione, un percorrere l’oltre e non è mai raggiungibile. Per tale ragione, in questa ricerca ciascuno dei cinque punti è a-centrico: se uno “conta” più di altri “sfugge” al disegno complessivo e i pesi relativi diventano pesi assoluti. Nel disequilibrio tra i punti, che sono poteri, ognuno di essi tenderebbe a espandersi per conquistare ruoli non propri e per riempire i vuoti che dovessero formarsi: così facendo, maturerebbe una sorta di onnipotenza dei singoli poteri ed è per questo che val bene considerare i cinque punti, oltre che a-centrici, anche a-dogmatici.
Nel momento in cui un potere si colloca al centro diventa inevitabilmente dominante. E ne va dell’armonia in formazione, costruzione fragilissima e mai pre-determinabile.
Il dominio ciclico di un potere sugli altri è un tratto tipico della realtà umana. Avviene in moltissime situazioni e la “sostituzione” di un potere dominante a un altro è un processo sempre più veloce e profondo (dell’economia sulla politica, della finanza sull’economia reale e così via). Nel porsi al centro, un potere cerca di condizionare tutti gli ambiti della convivenza umana: si pensi, richiamando l’economia, all’”esondazione” della competizione (e non della naturale competizione data dalle differenti appartenenze) fin nei nostri rapporti personali.
Lavorare sull’a-centricità dei punti, e dunque dei poteri, è tutt’altro che un gioco intellettuale ma è una scelta che si riflette, in maniera decisiva, sulla qualità delle nostre vite. Per cercare progressivamente di sfuggire alla (naturale) “tentazione centrica”, un lavoro necessario riguarda la “relativizzazione” dei singoli punti-poteri. Nel cercare ossessivamente una collocazione al centro della Storia, inevitabilmente ogni potere si radicalizza nel suo pensarsi indispensabile per le sorti comuni dell’umanità; relativizzarsi, dunque, consente a ogni potere di comprendere il “valore laico” del “comune”, spazio che non può essere occupato da “religioni umane” (i poteri radicalizzati in una presunzione centrica) ma che può evolvere soltanto attraverso il contributo non eludibile (necessario ma non sufficiente) di ogni punto-potere.
La relativizzazione dei punti-poteri guarda nel profondo e li “vincola” a (ri)flettersi nella propria essenza con “occhio mistico” per (ri)trovarne le potenzialità nei limiti. Camminando nell’oltre, ci rendiamo conto che condizione prima della sostenibilità, parola utilizzata anche a sproposito, è la consapevolezza da parte di chi detiene ogni potere del “disporre” di una “potenza limitata” e, in quanto tale, finalizzata alla costruzione dinamica del “comune”. Che lo si voglia o meno, chi scrive sottolinea l’importanza di un percorso di lavoro verso un “progetto di civiltà”.