Come dice una barzelletta a Mosca, interrogarsi sulla successione a Vladimir Putin sarebbe come porsi domande sulla vita dopo la morte. Con il naturale passare del tempo, tuttavia, l’argomento sta diventando sempre più rilevante. Il quarto mandato di Putin termina nel 2024 e, secondo la costituzione russa, non può concorrere per una rielezione. Ma le costituzioni possono essere emendate e in ogni caso il Cremlino ha mostrato la sua abilità nel trovare soluzioni creative, come il cambio di ufficio del 2008 con Dmitry Medvedev.
Il risultato è che il libretto di istruzioni del complesso e ibrido sistema politico russo non sembra contenere un capitolo sulla successione. In assenza di una sfera di cristallo, si può solo speculare su cosa avverrà in seguito, ipotizzando diversi potenziali scenari di successione e analizzando la plausibilità e le conseguenze di ciascuno di essi.
Primo scenario: Le roi est mort, vive le roi. La storia si ripete. Proprio come fece Boris Eltsin due decenni fa, il presidente russo e la sua cerchia scelgono un successore, e il precedente lascia la vita politica. Non ci sarebbe bisogno di aspettare il 2024, questo scenario potrebbe avere luogo in qualunque momento. Non può essere escluso che Putin non sia in grado di dare un chiaro identikit del suo successore, ma la sua intervista con il Financial Times dello scorso giugno ha fornito due interessanti elementi: “Ho sempre pensato alla questione, sin dal 2000. Le situazioni cambiano, insieme a certe richieste della popolazione. Alla fine, la decisione deve essere presa dal popolo russo. Non importa cosa o quanto il leader in carica faccia, non importa chi o come rappresenti, è l’elettore che ha l’ultima parola, ovvero i cittadini della Federazione russa”.
Primo elemento, la legittimazione sembra essere un elemento-chiave. In effetti, secondo il centro di sondaggi indipendente Levada, durante i suoi vent’anni al potere il tasso di approvazione di Vladimir Putin ha sempre oscillato fra il 60% e il 90% (era il 68% al settembre 2019). Il che significa che il suo successore non dovrà necessariamente provenire dal governo russo, la cui popolarità nell’ultima decade è stata assai più bassa, fra il 33% e il 66% (43% sempre al settembre 2019). Il prossimo presidente russo potrebbe essere un completo outsider, o un funzionario che emerge dal retroscena. Da questo punto di vista, ciascun dirigente del potente apparato presidenziale appare come un potenziale candidato.
Secondo elemento, il profilo del successore si evolve col tempo, sulla base delle richieste del popolo, ovvero delle circostanze. In altre parole, la descrizione dell’impiego si è evoluta da maggio 2013, quando il 61% della popolazione aveva una visione positiva dell’Ue, ai sei anni seguenti quando questa cifra è crollata al 38% (Levada).
Ciononostante c’è un preciso elemento che è assai improbabile cambi: la lealtà. Ma questa non può essere garantita, il che porta a un ovvio rischio per l’élite al potere: una volta in carica, il successore rispetterà gli interessi dell’élite, seguendo le sue istruzioni? Se infatt Putin si è dimostrato leale ad Eltsin, anche il panorama economico e politico del Paese è riuscito a ricomporsi durante il suo primo mandato. Dati i rischi in ballo, l’attuale classe dirigente può permettersi che Putin esca di scena? Può, anzi, Putin lasciare del tutto la politica?
Al contrario del suo predecessore, che aveva problemi di salute ed era impopolare, Vladimir ha delle opzioni. Come dice un adagio, “il cambiamento è buono, ma nessun cambiamento è ancora meglio”.
Eccoci al nostro secondo scenario: plus çà change, moins çà change. La transizione diverrà inevitabile a un certo punto. Sarebbe possibile ottenere qualche cambiamento senza gli annessi rischi? Il Kazakistan sta tentando una soluzione intermedia. Nel marzo 2019, dopo tre decenni al potere, il presidente kazako Nursultan Nazarbayev si è sorprendentemente dimesso, per diventare direttore del Consiglio di sicurezza con il titolo di “Padre della nazione”. L’idea è che egli non sarà più coinvolto nella politica quotidiana, pur supervisionando i potenti servizi di sicurezza del Paese e tenendo d’occhio la classe dirigente.
Il presidente del Senato Kassym-Jomart Tokayev, un rispettato diplomatico, è divenuto presidente ad interim prima di vincere le elezioni presidenziali pochi mesi più tardi. Una riforma costituzionale approvata due anni prima ha inoltre limitato i suoi poteri, aumentando quelli del Parlamento. Il sistema politico e la società russa sono diversi, ma questo esperimento kazako di transizione graduale potrebbe essere una fonte di ispirazione per il Cremlino, con Putin che diverrebbe una sorta di presidente del consiglio di amministrazione, presiedendo l’alta strategia e gli affari esteri, mentre un nuovo amministratore delegato/presidente gestirebbe effettivamente il Paese.
Terzo scenario: à la Boutlefika. Nel contesto attuale di tensioni internazionali, e in assenza di un chiaro consenso sul profilo del successore, lo status quo potrebbe essere percepito come il male minore. Questo scenario garantisce stabilità nel breve periodo, ma i rischi associati con l’immobilismo aumenterebbero ogni giorno.
In primo luogo, potrebbe essere veramente troppo per i russi, in particolar modo dato lo scontento espresso nell’estate del 2019, ed è stato detto quanto la legittimazione sia importante. In secondo luogo, Putin ha solo 67 anni, ma nessuno è immortale. Più a lungo il Cremlino attenderà per prendere una decisione, più alti saranno i rischi che qualcosa di imprevedibile accada al Paese o al presidente.
Il che ci porta al quarto scenario: le temps des troubles (il periodo dei torbidi, Смутное время). L’espressione definisce il periodo storico che seguì la morte di Feodor I, il figlio di Ivan il terribile, nel 1598. Lo zar non aveva un successore e i boiardi, i potenti aristocratici russi, cominciarono a combattersi l’un l’altro per controllare il trono, il che degenerò in una guerra civile. I Paesi confinanti approfittarono del caos e manipolarono la vita politica russa, giocando con le divisioni tra i boiardi. Il Commonwealth polacco-lituano alla fine invase il Paese e occupò Mosca, mentre la Svezia ottenne importanti guadagni territoriali, negando l’accesso al Baltico della Russia. Per giunta, il Paese venne colpito da una terribile carestia che uccise un terzo della popolazione. Questo oscuro capitolo della storia russa ebbe fine nel 1613, quando la dinastia Romanov ascese al trono.
Tutto ciò lasciò segni profondi nella psiche russa, e nel 2005 Putin restituì il 4 novembre come giornata dell’unità nazionale russa per celebrare la sconfitta delle truppe polacche a Mosca. La ripetizione di un altro periodo dei torbidi quattro secoli dopo è ovviamente vista come il peggior scenario possibile. Il contesto è molto diverso, ma ci sono alcune somiglianze. Essere assediati o invasi è ancora una paura dalle radici profonde, almeno dall’epoca delle invasioni mongole. La classe dirigente russa non è monolitica, e gli oligarchi di oggi possono essere paragonati ai boiardi della vecchia Russia moscovita. In assenza di istituzioni politiche forti, le relazioni personali giocano un ruolo estremamente importante nel sistema politico russo.
Ad esempio, il leader ceceno Ramzan Kadyrov si ritiene abbia un rapporto speciale con Putin. Riconoscerebbe anche l’autorità di un suo successore? Se così non fosse, potrebbe pensare di dilettarsi con l’idea dell’indipendenza. Ma questo funzionerebbe anche nell’altro senso: parte dell’autorità di Kadyrov deriva infatti dal suo rapporto con il presidente russo. La sua leadership sarebbe influenzata dalla scomparsa di Putin?
La successione può essere pianificata correttamente, ma le incertezze non possono essere eliminate. La storia russa è piena di sorprese e il processo di transizione potrebbe essere incontrollabile. Qualunque sia la forma, organizzata o spontanea, la successione porterà probabilmente a un cambiamento di carte nella politica russa.