I primi scricchiolii nella Commissione europea insediatasi poco più di un mese fa si registrano sulla questione iraniana, dopo l’uccisione del generale pasdaran Qassem Soleimani. Da una parte il presidente Ursula von der Leyen, dall’altra Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell.
La prima è espressione del mondo atlantista tedesco assieme al leader della Cdu e suo successore al ministero della Difesa di Berlino, Annegret Kramp-Karrenbauer. Il presidente della Commissione europea ha più volte sottolineato che “percorrere la via della saggezza e non dell’escalation” è nell’interesse di Teheran. Inoltre, ha dichiarato che “le origini della crisi si trovano nelle forze vicine all’Iran”. Il secondo continua a cercare di attirare l’attenzione di Teheran anche dopo i raid iraniani in risposta agli Stati Uniti. Il suo obiettivo è salvare il lascito principale del suo predecessore ai vertici della diplomazia europea, Federica Mogherini: il patto nucleare Jcpoa. Già un anno fa, quando era ministro degli Esteri spagnolo, aveva lasciato intendere in un’intervista rilasciata a Politico Europe la sua distanza dagli Stati Uniti: “Ovunque guardi, c’è un totale disaccordo tra gli Stati Uniti e l’Europa”, aveva dichiarato. “È un divorzio sui valori”.
Ma la posizione dell’Unione europea che vuol farsi mediatrice appare assai debole. Come ha spiegato anche l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini a Formiche.net alcuni giorni fa, “l’Europa ha perso credibilità quando non ha difeso l’accordo nucleare dal presidente statunitense Donald Trump. E l’ha persa anche con gli Stati Uniti, come detto con grande chiarezza dal segretario di Stato americano Mike Pompeo”.
Tuttavia, va anche sottolineato come il ruolo di mediatore mal si addice a chi, come l’Alto rappresentante Borrel, mai è sembrato neutrale rispetto ai contrasti tra Stati Uniti e Iran. Quando è stato nominato a capo della diplomazia europea, a Washington diversi funzionari hanno storto il naso pensando proprio al dossier che riguarda Teheran. Basta riprendere alcune dichiarazioni di Borrell di un anno fa. Intervistato da Politico Europe, disse: “L’Iran vuole cancellare Israele, non è una novità. Ci dobbiamo convivere”. Pochi giorni prima, su Twitter, sono stati celebrati con entusiasmo i 40 anni dalla rivoluzione khomeinista, ringraziando Teheran per il “ruolo essenziale” in Siria. A che cosa servì l’Iran? A tenere in piedi il regime di Bashar Al Assad e il generale Soleimani fu uno degli architetti della difesa della dittatura di Damasco.
L’Unione europea non aveva previsto l’escalation iraniana, né era stata informata dal presidente Trump del raid sul generale Soleimani. Lo shock per l’uccisione si è presto trasformato in rabbia verso il capo della Casa Bianca a causa dell’esclusione dalla questione, ha raccontato in queste ore Politico Europe. Il giornale, probabilmente il più vicino e letto negli ambienti della Commissione europea, scrive: “Finora, la risposta europea si è concentrata sul tentativo di placare l’Iran invece di mostrare solidarietà agli Stati Uniti”. Ecco perché “una delle vittime collaterali del raid statunitense potrebbe rivelarsi la relazione transatlantica”.
È il frutto dell’attivismo della Francia di Emmanuel Macron che, come abbiamo raccontato alcuni giorni fa, appare decisa a svolgere un ruolo centrale negli eventuali negoziati tra Stati Uniti e Iran. Ciò sta generando la frammentazione europea a cui assistiamo in questi giorni e allontanando la Francia dalla Germania. Quest’ultima sembra essersi riscoperta atlantista sotto l’impulso di von der Leyen e Kramp-Karrenbauer, che oggi ha dichiarato “posso dire a nome del governo tedesco che condanniamo fermamente l’aggressione iraniana alle basi Usa in Iraq”. L’asse della Difesa è quello che in queste ore sta unendo Berlino e Washington, ma anche Roma, come dimostrato dalla telefonata di ieri tra il nostro ministro Lorenzo Guerini e l’omologo statunitense Mark Esper.