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Crisi della politica, crisi di pensiero

Se camminiamo nel mondo, con sano realismo, ci rendiamo conto che abbiamo raggiunto un punto di non ritorno. Nel contesto di una innovazione dilagante e pervasiva, rispetto alla quale chi scrive non assume né un atteggiamento di condanna senza appello né mostra un’accondiscendenza a-critica, e la “scelta” sempre più evidente di semplificare i processi storici e d’improvvisare, noi intellettuali dovremmo tornare a elaborare visioni complesse, sistemiche, politiche.

Oggi sembrano vincere la superficialità e la velocità. Ciò, con tutta evidenza, rende difficile, se non impossibile, la riflessione. C’è una crisi della politica, dunque, perché c’è una crisi di pensiero politico.

Molto spesso si dice che le classi dirigenti al governo, e all’opposizione, non hanno una visione dell’Italia, del mondo e dell’Italia nel mondo. Se ciò è vero, dovremmo cercare di capire attraverso quali riferimenti culturali, in quale pensiero, dovrebbero maturare tali visioni; è su questo punto, infatti, che siamo del tutto disarmati.

Dopo la seconda guerra mondiale, e la fine del totalitarismo nazista, vi era una voglia di libertà che uomini capaci di visione cercarono di rendere condizione concreta di convivenza in un contesto internazionale “regolato” da un ordine che, pur se fragile, poteva essere definito tale. Dopo la caduta del muro di Berlino, qui solo simbolicamente richiamato, e la fine del secondo totalitarismo del novecento, l’ordine di un tempo è entrato in profonda metamorfosi: è possibile un altro ordine ?

Chi scrive pensa che la politica possa rinascere unicamente all’interno di un percorso di ricerca in un ordine che tenga conto di ciò che, solo all’apparenza, è il suo contrario: il disordine che lo percorre. Perché, oggi, ciò che è evidente camminando nel mondo è l’esplosione di ciò che abbiamo negato. Siamo ancora prigionieri, sotto forme nuove e molto spesso inconsapevoli, dell’idea totalitaria: chi bussa alla nostra porta è sempre, talvolta tragicamente, la realtà.

 



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