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Della mediazione

Siamo in ricerca, nel nostro viaggio in e verso un “progetto di civiltà”, di un paradigma politico istituente; per riprendere Roberto Esposito (Pensiero istituente, Tre paradigmi di ontologia politica, Einaudi, Torino 2020, p. X), c’è bisogno di un nuovo progetto affermativo.

Nota Esposito (op. cit., p. XVII) che nel paradigma istituente (…) l’essere sociale non è né univoco né plurivoco, ma conflittuale. E, continua l’Autore (op. cit., p. XVIII), il ruolo del politico, centrale e ineliminabile, è quello di mettere in scena tale divisione, sollevandola dal piano empirico dello scontro di interesse e di potere a quello, simbolico, del governo della società. Simbolico – nella sua distinzione sia dal reale che dall’immaginario – è il taglio istituzionale che riunisce il sociale intorno alla divisione che lo percorre.

Intendiamo soffermarci su questo punto per sottolineare l’importanza della mediazione. L’essere sociale, (ri)unito in quello che chiamiamo “spazio pubblico” (che ci comprende e che ci supera, “di” tutti e “in” tutti), può formarsi se, in ogni contesto, maturiamo il talento di rendere evidenti le conflittualità che caratterizzano le nostre convivenze. Ciascuno di noi, e insieme, dobbiamo esercitare la responsabilità di costruire il “comune” (lo spazio pubblico) (ri)legando le divisioni, trasformando in opportunità (per noi nel nostro “oltre”, il comune) ciò/chi non siamo noi.

Se non possiamo eliminare le differenze e i conflitti che ci percorrono, e che ci dividono, dobbiamo invece (ri)portare tutto questo a “sintesi progettuali (politiche)”, (ri)pensando la mediazione, oltre che come “già” azione politica, come base fondamentale su cui costruire visioni di progettualità. Se il conflitto non può essere negato, altrettanto non può essere lasciato a sé; in entrambi i casi, infatti, costruiremmo “ambienti totalitari” laddove il conflitto negato e il conflitto non affrontato sono facce della stessa medaglia, consegnandoci all’irrealtà.

Il problema, attraverso la mediazione, è la ricerca dell’ordine: ci domanderemo quale. Scrive Esposito (op. cit., p. XVIII): Secondo il suo stesso etimo, symbolon evoca un ordine non alternativo al conflitto, ma da esso prodotto e di esso produttivo, in una forma destinata continuamente a mutare in base ai rapporti di forza di volta in volta instaurati tra le parti confliggenti.

(Professore Incaricato di Istituzioni negli Stati e fra gli Stati, Link Campus University)

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