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I disabili e quella sentenza del Consiglio di Stato

Chi si occupa dei diritti delle persone disabili? Sono oramai frequenti le sentenze che, dirette a definire tali diritti inalienabili, restano inascoltate. Dopo la Sentenza 2 marzo 2011 n.8254 della Corte di cassazione che specifica “a nessuno sia consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute, né diramare direttive che pongano in secondo piano le esigenze dell’ammalato, dopo la famosa Sentenza 275/2016 della Corte Costituzionale che si era espressa severamente stabilendo che “è la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionare la doverosa erogazione”, interviene nuovamente il Consiglio di Stato.

Che (sebbene utilizzi un lessico non conforme alla definizione della Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità) con la sentenza n. 1 del 2 gennaio 2020, afferma che “i disabili vanno assistiti e basta. La loro assistenza non può dipendere né dalle risorse finanziarie disponibili, né dai posti presso le strutture sem-iresidenziali”. Sentenza questa che si preannuncia come un serio problema di bilancio per quelle Pubbliche amministrazioni, anche centrali, che considerano la disabilità un costo tra le varie ed eventuali (del bilancio) . Il Consiglio di Stato si è pronunciato sull’incompleto inserimento di un minore (3 giorni su 5) in un centro diurno, perché l’Asl non aveva disponibilità economiche e si era limitata a formare una lista di attesa, erogando un contributo parziale, previsto dalla Regione Veneto a sostegno delle disabilità.

Sono stati i genitori di un minore disabile al 100% e non autosufficiente, hanno chiesto l’annullamento del provvedimento del 25 ottobre 2017 con il quale l’azienda U.L.S.S. N. 6 del Veneto aveva rigettato la loro istanza-diffida del 25 settembre 2017 per “l’immediato inserimento del minore in un Centro diurno al fine di permetterne la tempestiva fruizione” e a ottenere dall’azienda il risarcimento dei “danni, patrimoniali e non patrimoniali, cagionati e cagionandi per un importo non inferiore a 25.000 euro”. L’Azienda sanitaria, respingendo la richiesta, ha sostenuto di essere “tenuta a garantire i livelli essenziali di assistenza socio sanitaria nel rispetto dei vincoli di bilancio assegnati annualmente dalla Regione e dalla Conferenza dei Sindaci”.

Il Tar aveva dato ragione all’azienda, sostenendo che anche il diritto alla salute deve essere bilanciato e contemperato con altri beni di rilevanza costituzionale (come in questo caso l’equilibrio del bilancio pubblico e, in particolare, del bilancio regionale), ma il Consiglio di Stato non è dello stesso avviso In vero il Consiglio di Stato si era già pronunciato con la Sentenza n. 842/2016, rimasta anch’essa inascoltata, sempre in materia di diritti delle persone con disabilità. Quella sentenza del 2016 aveva, ed ha, anch’essa una vasta portata tesa ad incidere sulla formazione del bilancio dello Stato perché incide in materia di requisiti per l’accesso alle misure socio assistenziali legate al parametro Isee. La sentenza del Consiglio di Stato nel rigettare il ricorso della presidenza del Consiglio dei ministri contro diverse pronunce del Tar che davano ragione alle persone con disabilità, stabiliva che «le indennità riconosciute ai disabili non sono reddito.

Si deve quindi trovare il modo di scorporare tali somme dalla giacenza media del conto corrente che è uno dei parametri per determinare l’Isee. Ma come tutti sanno una sentenza, nemmeno se ripetuta, fa la Legge ed occorreva, così come ancora occorre urgentemente, l’ntervento risoluto del legislatore per tradurre in norma di legge, ma che sia cogente per tutte le pubbliche amministrazioni dello Stato, la statuizione del giudice. La questione ora passa al Parlamento affinché batta un colpo e dia un segnale per il recepimento immediato delle sentenze delle alte magistrature in materia di diritti delle persone con disabilità.



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