Ciò che colpisce, guardando al mondo, è la quantità dei fronti aperti ma, soprattutto, la loro “qualità”.
Dopo la caduta del muro di Berlino abbiamo immaginato che si fosse inaugurata un’era del tutto nuova e una euforia collettiva colse tutti, dagli intellettuali ai decisori politici. Così si dimenticò il realismo e si pensò che, finalmente, l’umanità sarebbe entrata in una nuova Storia caratterizzata dalla diffusione del modello democratico liberale. Altresì, caduto con il muro l’ultimo totalitarismo del ‘900, si avviò l’attuale fase del processo di mondializzazione ed entrammo nell’era di Internet e di quella che il filosofo Luciano Floridi chiama l’ “infosfera”.
Ciò che si immaginò allora, nella voglia planetaria di libertà (certamente giustificata), fu che i nodi storici che ci eravamo portati dal ‘900 fossero in “automatica” soluzione, che bastasse pronunciare alcune parole magiche e che tutto si sarebbe risolto. E invece, guardando all’oggi, quel muro era solo uno dei tanti muri che, cambiando il mondo, si sono riproposti. Oggi, tentando una fotografia di ciò che accade, potremmo dire che ci troviamo in un “mondo in tre mondi”; interrelati, viviamo i mondi della connettività e dell’innovazione, dei muri e dei conflitti, del disagio e delle disuguaglianze.
La caduta del muro di Berlino non ha rappresentato una soluzione bensì ha reso evidenti tutte le contraddizioni di una Storia che, al di là dell’ottimismo di maniera, non era (e non è) finita. Le euforie di allora sono tornate come problemi che non possono più attendere. Sono problemi e sfide tra di loro inter-in-dipendenti come ciascuno di noi lo è rispetto a ogni altro e al “complesso” dell’umanità e della realtà globalmente intesa; ciò significa che, realisticamente, nessuno – da solo – può pensare di rappresentare la soluzione.
Le relazioni internazionali, e qui si coglie la tragedia del presente, sono “giocate” o sul piano dell’istintualità e dell’improvvisazione o si limitano a essere il luogo nel quale i diversi player globali cercano di trovare un posto al sole per costruire (o ricostruire) “disordinate” sfere d’influenza. Come in un’analisi sociologica possiamo dire di vivere nella esasperazione dell’individualismo, altrettanto nei rapporti a livello planetario si sviluppano autarchie e illusorie possibilità di realizzazione attraverso l’esclusione e la separazione.
Ci pare che, in questo contesto, le università debbano avere un ruolo decisivo e strategico. Da tempo, la Link Campus University lavora in chiave transdisciplinare e sistemica con la pazienza di costruire luoghi di dialogo (tra culture, religioni, attori istituzionali e dell’economia) sulle grandi sfide della realtà. Ci vogliono una chiarezza e una volontà di fondo per cercare di realizzare ciò che evoca Edgar Morin in La via. Per l’avvenire dell’umanità (Raffaello Cortina Editore, Milano 2012, p. 25): Le riforme politiche da sole, le riforme economiche da sole, le riforme educative da sole, le riforme della vita da sole sono state, sono e saranno condannate all’insufficienza e al fallimento. Ciascuna riforma può progredire solo se progrediscono anche le altre. Le vie riformatrici sono correlate, interagenti, interdipendenti. Le soluzioni che tutti desideriamo, e cerchiamo, passano, inevitabilmente, da un ripensamento del pensiero.