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Il Giappone sbarca in Medio Oriente. Come piace a Trump

C’è un nuovo attore di peso in Medio Oriente. Tra qualche giorno, per monitorare le acque del golfo dell’Oman, arriveranno nell’area due aerei di pattugliamento P-3C delle Forze di auto-difesa marittima del Giappone. In un paio di settimane saranno raggiunti da un cacciatorpediniere equipaggiato con elicotteri, volto a rafforzare il controllo di una regione strategica per Tokyo. Da anni i nipponici hanno riscoperto una proiezione globale, ben supportata dagli investimenti nel settore della Difesa, dall’azione diplomatica a tutto tondo e dal rafforzamento dei rapporti con gli Stati Uniti.

LA RETE DIPLOMATICA DI TOKYO

Nei giorni scorsi, il premier Shinzo Abe è stato in Arabia Saudita, Oman ed Emirati Arabi. Dopo l’uccisione del generale Qassem Soleimani, era circolata notizia dell’annullamento del tour mediorientale, poi però confermato dallo stesso premier con l’obiettivo (ambizioso) di contribuire agli sforzi di de-escalation.

E mentre Abe rafforzava la rete dei rapporti nell’area, il ministro della Difesa Taro Kono e il ministro degli Esteri Toshimitsu Motegi si dirigevano verso gli Stati Uniti. Il primo è stato ricevuto al Pentagono dal segretario della Difesa Mark Esper, da cui ha incassato il ringraziamento per il dispiegamento degli assetti militari in Medio Oriente. Il secondo ha invece incontrato Mike Pompeo nella Silicon Valley, a dimostrazione di rapporti piuttosto stretti in tanti settori strategici, compreso quello delle tecnologie avanzate. Visite in occasione dei sessant’anni dell’accordo tra Washington e Tokyo sulla mutua cooperazione nei temi della sicurezza.

L’INTERESSE PER IL MEDIO ORIENTE

Nell’incontro al Pentagono si è ribadita la consueta convergenza di interessi per gli scenari asiatici, dal contrasto all’assertività di Pechino nel Mar cinese meridionale, fino alla stabilizzazione delle velleità della Corea del nord. Si è aggiunto però un altro scenario di contatto, con la conferma del dispiegamento delle forze nipponiche in Medio Oriente.

Per il Giappone gli interessi sono prima di tutto economici. Dalla regione (Iran compreso) arriva il 90% dell’import di petrolio greggio. Non a caso, il Paese asiatico figurava insieme all’Italia tra gli otto Stati esentati dalle prime sanzioni americane. In ogni caso, il primo interesse è la stabilità del Medio Oriente e la sicurezza delle navi mercantili dirette in Giappone. Lo scorso giugno, la nave-cisterna giapponese Kokuka Courageous fu tra quelle colpite nella spirale di escalation nel Golfo persico, con l’accusa diretta degli Stati Uniti all’Iran.

LA MISSIONE MILITARE

Eppure, Tokyo non ha risposto all’invito estivo statunitense per una missione di pattugliamento internazionale nello stretto di Hormuz. Ha preferito mantenere il tradizionale atteggiamento di neutralità, soprattutto per evitare di inasprire i rapporti con Teheran. Per questo, dopo aver informato il presidente iraniano Hassan Rouhani, il governo di Abe ha preferito procedere con un’iniziativa “indipendente”.

Lo scorso 27 dicembre il gabinetto ha dunque annunciato l’invio di un cacciatorpediniere equipaggiato con elicotteri e di due velivoli militari per il pattugliamento, gli stessi P-3 che già nel 2009 Tokyo aveva sopra al Golfo di Aden per la missione anti-pirateria nelle acque davanti alla Somalia. La nuova missione dovrebbe partire a breve, con i velivoli operativi tra pochi giorni e il destroyer in partenza il 2 febbraio. In caso di emergenza, sarà il ministero della Difesa ad autorizzare gli assetti all’uso della forza per proteggere eventuali navi in pericolo.

L’INTESA CON WASHINGTON

Nonostante l’iniziativa sia nazionale, trova facile sponda negli Stati Uniti, contenti di vedere alleati maggiormente impegnati nel complesso contesto mediorientale. Lo dimostrano i ringraziamenti di Esper tre giorni fa, arrivati dopo almeno due anni di progressivo rafforzamento dei rapporti tra Washington e Tokyo. Lo scorso maggio, durante la visita di Donald Trump, Shinzo Abe ha confermato l’intenzione di acquistare altri 105 velivoli F-35 rispetto ai 42 già in programma.

Il Giappone diventerebbe il primo partner di un programma che per l’amministrazione americana ha la funzione di rafforzare le alleanze strategiche. Nel 2018, Tokyo aveva approvato inoltre l’acquisto di due sistemi americani di difesa missilistica Aegis Ashore. Prima di andare al Pentagono, Kono ha visitato un assetto della stessa tipologia dispiegato alle Hawaii.

LE AMBIZIONI INTERNAZIONALI

Tutto questo risponde ad ambizioni che eccedono i dossier regionali, la competizione con la Cina e i timori per la Corea del nord. A dicembre 2018, il ministero della Difesa giapponese ha presentato le sue nuove linee-guida, una sorta di riesame di medio-termine delle priorità strategiche nell’ambito di una programmazione quinquennale. Ne emergeva l’intenzione di affermare il Paese quale attore di primo piano sullo scacchiere globale, anche in aree geograficamente lontane come il Medio Oriente.

Dal 2013 il budget della Difesa è in crescita costante, destinato a raggiungere i 50 miliardi di dollari l’anno prossimo. È affiancato da uno sforzo diplomatico imponente. Lo scorso dicembre, ai Mediterranean Dialogues di Roma, i dialoghi sul Mediterraneo (non sul Mar cinese meridionale) organizzati dalla Farnesina con l’Ispi, ha partecipato il vice ministro degli Esteri Kenji Wakamiya. L’anno prima, la presenza fu ancora più qualificata con il ministro della Difesa Kono.

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