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Il giorno dopo (la memoria nell’oltre)

Quando si dice l’ “umano” si intende una complessità che non può essere separata. Perché voler guardare a ciascuno di noi solo attraverso uno sguardo particolare è già oltraggio e violenza.

Il “male banale”, mirabilmente descritto da Hannah Arendt nel suo percorso intellettuale intorno e dentro alle esperienze totalitarie del ‘900, ci riguarda direttamente, intimamente. E riguarda la de-generazione di quelle “certezze occidentali” che oggi, nel terzo millennio, sono in ulteriore e ciclica problematizzazione. Scriveva Arendt nel 1950 (Prefazione alla prima edizione de Le Origini del Totalitarismo, Einaudi, Torino 2009, p. LXXXII): La corrente sotterranea della storia occidentale è finalmente venuta allo superficie usurpando la dignità della nostra tradizione, Ecco la realtà in cui viviamo. Ecco perché tutti gli sforzi compiuti per evadere dall’atmosfera sinistra del presente nella nostalgia per un passato ancora intatto, o nell’oblio anticipato di un migliore futuro, sono vani.

Si rincorrono, nel giorno della memoria, ricordi che bisogna mantenere vivi in una sorta di educazione permanente che non deve mai cessare. Chi scrive è diventato uomo grazie alle “parole partigiane” di Ernesto Baroni e, dunque, ben conosce le tragicità di quel periodo storico. Ma l’esercizio della memoria può apparire fragile se non si accompagna a un lavoro costante e paziente di (ri)pensamento del pensiero.

Dobbiamo prendere atto, come ci insegna Raimon Panikkar (La pienezza dell’uomo. Una cristofania, Jaca Book, Milano 2003, p. 20), che il mondo si trovi dinanzi a un dilemma di proporzioni planetarie: o avviene un cambio radicale di “civiltà”, di senso dell’humanum, o una catastrofe di proporzioni cosmiche. Questo porta a vedere nell’interculturalità un primo passo verso una metanoia pregna di speranza.

In sostanza, abbiamo la responsabilità di (ri)prendere la memoria per renderla progetto. Tra i ricordi e le ansie da soluzione, sempre dimentichiamo che il problema è tutto politico (e, in quanto tale, anche culturale). Abbiamo bisogno di calare la memoria nell’oltre. Pensiamo a un “progetto di civiltà” e ci piace utilizzare l’espressione di Edgar Morin di politica di civiltà; di una politica istituente (come proposto da Roberto Esposito) che esca finalmente dai consumati paradigmi del ‘900 nella consapevolezza che, se le esperienze totalitarie del ‘900 sono terminate, l’idea sottostante è ben viva nei nostri cuori, nelle nostre teste e nella realtà.

(Professore incaricato di Istituzioni negli Stati e fra gli Stati, Link Campus University)

 

 



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