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Dall’Ilva ad Alitalia, Giuricin spiega i danni dell’interventismo dello Stato

L’Italia si scontra con un problema molto serio nel momento in cui si costruiscono, o solo si pensano le nuove infrastrutture: l’incertezza regolatoria. Non è un problema solo italiano, ma sicuramente nel nostro Paese questo è uno dei freni alla crescita in generale. Avere poche regole ma sicure è alla base di tutte le economie sviluppate. L’incertezza, invece, è uno dei problemi in via di sviluppo che vedono, a ogni cambio politico, un cambiamento normativo e regolatorio. Un’incertezza che incide anche nella bassa attrattività del nostro Paese.

L’Italia è un cattivo esempio nel saper attrarre gli investimenti diretti esteri, dato che abbiamo dei valori inferiori anche all’Olanda, Paese molto più piccolo, ma anche inferiori a quelli di Messico o Singapore per quanto riguarda sia il 2018 che il 2017 (dati Unctad). Ma com’è possibile fare dei progetti di lungo periodo con tale incertezza? Si possono trovare migliaia di esempi, così come è possibile trovare soluzioni che limitino questa incertezza. Partiamo dagli esempi, e ne abbiamo infiniti: dall’ex Ilva fino ad Alitalia, l’interventismo dello Stato blocca ogni certezza per chi mai volesse fare degli investimenti e rilanciare tali aziende.

Come ricordavo in un’intervista a Reuters, chi può decidere di investire dei soldi quando si sa che lo Stato vorrà metterci l’ultima parola? Al tempo stesso esiste anche un’incertezza da parte del potere giudicante, dato che l’Italia non brilla per i tempi della giustizia. Al contrario, una normativa chiara e stabile nel tempo può favorire lo sviluppo di progetti di lungo periodo. L’arrivo degli investimenti americani in Italo è stato dovuto anche al fatto che esiste una regolazione stabile sui pedaggi (il principale costo per un operatore ferroviario) grazie all’azione dell’Autorità di regolazione dei trasporti.

E proprio il ruolo delle autorità può essere chiave nel momento in cui si vogliono sviluppare i progetti di lungo periodo, come quelli infrastrutturali. Avere un ritorno certo dell’investimento, tramite una regolazione chiara e semplice, può aiutare a completare le opere e soprattutto ad attrarre i capitali necessari a fare queste opere. Al contrario l’incertezza del finanziamento porta verso un allungamento dei tempi che porterà, a sua volta, a una revisione dei progetti. Ma la stessa revisione dei progetti genera l’aumento dei costi dell’opera stessa: di fatto un circolo vizioso che crea ritardi e sovracosti.

Anche nel settore delle infrastrutture abbiamo casi eclatanti che continuano a stupire chiunque guardi il nostro Paese. Possiamo prendere l’esempio della metro C a Roma, un’opera infinita nel senso dei tempi (e dei costi). È mai possibile che ci vogliano così tanti anni e revisioni di costo? E che alla fine si arrivi al sotterramento della talpa necessaria a continuare l’escavazione dei tunnel? Un esempio interessante proprio per le opere infrastrutturali arriva da Istanbul dove, nonostante il patrimonio artistico nel sottosuolo, nell’ultimo decennio si sono costruiti quasi 400 chilometri di nuove linee metropolitane.

Le opere d’arte sono valorizzate nelle stazioni la decisione di scavare i tunnel a una profondità maggiore ha permesso di ridurre l’incertezza dovuta al ritrovamento del patrimonio artistico (banalmente avere una maggiore profondità significa andare più indietro nel tempo dato che le diverse civiltà sono stratificate). Si è deciso di andare in profondità (costo maggiore dell’opera), ma poi le incertezze sono state limitate e, di fatto, il progetto è andato avanti in maniera spedita. L’incertezza è uno dei fattori che più bloccano le infrastrutture. In particolare, quella regolatoria potrebbe essere limitata in molti casi.

Bisogna avere il coraggio politico di lasciare alle autorità tecniche un maggiore potere e sempre più indipendenza, perché si creino le condizioni necessarie per fare le opere in maniera efficace. La politicizzazione dell’opera infrastrutturale è infatti un grande rischio: lo abbiamo visto per il ponte sullo stretto di Messina. Alla fine non solo l’opera non viene fatta, ma lo Stato è costretto a pagare delle penali rilevanti. Al tempo stesso, una certa visione di lungo periodo da parte della politica potrebbe aiutare.

Continuare a distruggere l’opera del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti precedente non ha alcun senso. Per quello, depoliticizzare le opere potrebbe aiutare ad andare in questa direzione. Purtroppo la politica vuole continuare ad avere il ruolo dello Stato costruttore (e a volte anche dello Stato imprenditore) e non solo quello dello Stato regolatore. Arriverà mai un ministro con il coraggio di limitare la propria azione?

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