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Medio Oriente e Nord Africa. I riflessi economici per l’Italia secondo Pennisi

Quali possono essere le verosimili implicazioni economiche sull’Italia della situazione geopolitica in Medio Oriente e Nord Africa? Alcune università americane (come Stanford e North Western) hanno aggiornato rapidamente i loro indicatori di incertezza economica. L’Italia è tra i Paesi europei quello in cui l’incertezza economica è maggiormente aumentata. È complicato, invece, valutare l’incidenza dell’incertezza sui comportamenti di consumatori ed investitori. Non è certo con maggiori stimoli monetari che la si riduce. Paradossalmente, anzi, tali stimoli possono aggravare la “trappola della liquidità”, il fenomeno in base a cui la politica monetaria non riesce ad avere alcuna influenza sulle scelte di famiglie e imprese. Non è certo la “flessibilità” nell’attuazione delle clausole del Fiscal Compact per allentare i vincoli Ue su indebitamento delle Pubbliche amministrazioni a contenere l’incertezza. Non solo potrebbe aggravare la “trappola della liquidità” ma, ad accordi vigenti, darebbe un respiro di breve periodo e aggraverebbe il peso del debito pubblico.

Che l’incertezza stia operando lo confermano le cronache di riduzioni degli acquisti di beni di consumo, nonostante sia in pieno svolgimento la stagione dei saldi. L’incertezza derivante dalla situazione in Medio Oriente e Nord Africa aggrava quella già endogena da mesi a ragione della scarsa, ove non scarsissima, situazione del diritto (ad esempio, le profonde differenze di vedute in materia delle nuove norme sulla prescrizione che numerosi giuristi considerano incostituzionali, o i cambi di regole in materia di concessioni e degli impianti ex Ilva). Tutto ciò ha in pratica bloccato investimenti dall’estero in Italia e sta incoraggiando i potenziali investitori italiani ad andare verso lande dove c’è certezza del diritto. L’aumento dell’incertezza economica derivante dal quadro geopolitico appesantisce il tutto.

Dopo un “bellissimo 2019” (definizione del presidente del Consiglio prof. Giuseppe Conte) a crescita zero, i documenti sottostanti la legge di Bilancio per il 2020 si basavano su una crescita dello 0,5% per l’anno in corso. Tale tasso era stato considerato “ottimista” dai maggiori istituti di ricerca econometrica italiani e stranieri. Ora non è difficile ipotizzare un rallentamento che ci faccia scivolare in una nuova recessione. Tre sono le cinghie di trasmissione: a) l’export (il 15% circa del nostro export è diretto al Medio Oriente e al Nord Africa); b) il turismo e c) i consumi e gli investimenti. Su tutte aleggia l’aumento del prezzo del petrolio ed il possibile incremento dei tassi d’interesse, nonostante l’ampia liquidità globale, a ragione di forme di tesaurizzazione per cautelarsi contro i maggiori rischi percepiti.

Non si dispone ancora di uno studio organico quantitative come quello pubblicato dal Fondo monetario internazionale (Fmi) nel 2016 (The Economic Impact of Conflicts and the Refugee Crisis in the Middle East and North Africa). Vale, però, riprendere il messaggio di fondo di questo lavoro che preconizzava una recessione profonda nei Paesi vicini.

L’Italia può essere considerato Paese vicino, soprattutto al Nord Africa. La situazione specifica di oggi è più difficile di quella di quattro anni fa perché invece di costituire “un cuscinetto” per difendersi da eventuali crisi provenienti dal resto del mondo, abbiamo, soprattutto con le due ultime leggi di Bilancio, finanziato in deficit programmi essenzialmente assistenziali aumentando il peso del debito pubblico. Negli ultimi giorni, Moody’s e le altre maggiori agenzie di rating non hanno esitato a fare sapere che stanno “rivedendo” le loro valutazioni dei titoli di Stato italiani. Anche se i nostri Paesi confinanti e l’insieme dell’Unione europea hanno interesse che non si verifichi un collasso dell’Italia, occorre ricordare che nel 1992 il “cigno nero” fu un referendum sull’unione monetaria in Danimarca che nel giro di poche settimane portò ad un forte attacco contro l’Italia (il cui debito pubblico era pari al 100% del Pil non al 135% come adesso) e a una massiccia svalutazione.

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