Non c’è riuscito il caos libico scoppiato davanti alla porta di casa nostra. Magari ci riusciranno gli ultimi sviluppi in Iran, dove gli Stati Uniti di Donald Trump hanno ucciso l’uomo ritenuto il numero due del regime, Qassem Soulimani, capo delle unità d’élite dei Pasdaran. L’Italia è a un bivio mediorientale e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che sulla repressione delle proteste da parte della dittatura sciita ha preferito non rilasciare commenti né dichiarazioni, è chiamato a scegliere quale via prendere.
Stamattina Hillel Neuer, direttore di UN Watch, se l’è presa via Twitter con il New York Times, accusandolo di aver pubblicato nei giorni scorsi alcune prime pagine simpatizzanti con i manifestanti iracheni contro l’ambasciata statunitense di Baghdad senza riconoscere lo zampino iraniano dietro di loro. Per Neuer il New York Times domani dovrebbe titolare “U.S. kills leading Iraqi protester”. Una battuta che a noi ha fatto immediatamente tornare alla mente gli ammiccamenti tra il regime e la politica italiana. E il tentennamenti sul caso dei voli della compagnia iraniana Mahan Air, sotto sanzioni statunitensi, non è che l’ultimo, clamoroso esempio.
Iran più Movimento 5 Stelle uguale Alessandro Di Battista, il cosiddetto pasdaran grillino che due mesi fa ha annunciato un viaggio proprio nella Repubblica islamica per scrivere un nuovo libro. Già nel 2014 diede un assaggio della sua vicinanza al regime spiegando che fu “inserito stupidamente” dall’ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush “nell’asse del male”. Nell’articolo pubblicato sul blog di Beppe Grillo e intitolato “Isis, che fare?”, Di Battista scriveva: “Se a bombardare il mio villaggio è un aereo telecomandato io ho una sola strada per difendermi a parte le tecniche nonviolente che sono le migliori: caricarmi di esplosivo e farmi saltare in aria in una metropolitana”. Il terrorismo, aggiungeva reputando lo Stato Islamico un interlocutore da coinvolgere nel dialogo per la pace in Iraq, resta “la sola arma violenta rimasta a chi si ribella”.
Stamattina Di Battista ha bollato via Facebook il raid come “vigliacco”, “stupido” e “pericoloso” spiegando perfino che l’Iran non “hai mai rappresentato una minaccia per il nostro Paese” prima delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti. E qui l’ex deputato sbaglia, quando parla di sanzioni “imposte all’Europa da Washington”: infatti, è una misura diretta all’Iran che si può ripercuoterete sugli scambi con l’Europa.
Ma l’equazione Iran più Movimento 5 Stelle uguale Alessandro Di Battista è elementare. Troppo. Tra i grillini l’ex deputato non è l’unico a mostrarsi soft con il regime di Teheran. Pensiamo a Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri, che a metà novembre aveva incontrato l’ambasciatore iraniano a Roma, Hamid Bayat. Secondo la stampa del regime iraniano, il pentastellato ha espresso apprezzamento al diplomatico di Teheran per la cooperazione in Yemen. Nonostante, come sottolineato anche da Formiche.net, l’Iran sia accusato di essere complice dei crimini di guerra degli Houthi dalle Nazioni Unite.
Ma pensiamo anche ai presidenti delle commissioni Esteri di Camera e Senato, rispettivamente Marta Grande e Vito Petrocelli. Nell’ottobre 2018 la prima aveva inviato in audizione Alireza Bigdeli e Morteza Jami, allora rispettivamente membro e vicepresidente dell’Institute for political and international studies (oggi ambasciatore in Portogallo), il think tank iraniano che nel 2006 aveva organizzato a Teheran la conferenza sul negazionismo dell’Olocausto. Quell’audizione – in cui i due iraniani si lanciarono contro gli Stati Uniti e contro Israele fino a definire la nascita dello Stato ebraico “il primo errore” in Medioriente – creò non pochi problemi al Movimento 5 Stelle nei rapporti con la Comunità ebraica di Roma e l’ambasciata israeliana.
Due mesi dopo divenne Petrocelli il protagonista, presentando una mozione per impegnare l’allora governo gialloverde a mantenere vivi l’accordo nucleare Jcpoa e l’export italiano verso l’Iran. Ed è stato sempre lui, uomo ritenuto vicino alla Russia di Vladimir Putin, a visitare Teheran lo scorso aprile nel bel mezzo delle tensioni tra Stati Uniti e Iran per le sanzioni. In quell’occasione tenne a rassicurare il regime e confermare l’impegno italiano per Instex, il veicolo europeo pensato per bypassare la stretta di Washington ma mai decollato.