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Quale rotta per un’Italia senza bussola? L’analisi di Stefano Parisi

E l’Italia non c’è. Nel mondo stanno accadendo fatti decisivi per il futuro del Mediterraneo, ma da anni, ormai, i governi che si sono succeduti alla guida del Paese sono privi di una politica estera in grado di difendere i nostri interessi e garantire la sicurezza nazionale.

Questa incredibile debolezza e incertezza, intollerabile per un paese del G7, non è emersa solo nella XVIII legislatura, quando al governo del Paese sono andate forze politiche guidate da personalità senza nessuna esperienza e prive di alcun sistema di relazioni internazionali consolidato, ma ha radici profonde nei governi della Seconda Repubblica, da quando gli equilibri mondiali sono mutati.

L’Italia è ormai fuori da qualunque circuito diplomatico che conta, è debole in Europa e inesistente nel mondo. Il suo contributo diplomatico e militare è ridotto ai minimi termini.

Certo, le tre forze politiche oggi dominanti in Parlamento, che hanno formato i due governi di questa legislatura, in quasi due anni hanno dimostrato tutta la loro pochezza e inettitudine. A cominciare dai 5 Stelle, la cui politica estera è ispirata dal suocero di Grillo, dalla subalternità di Di Maio alla Cina di Xi Jinping, all’amore di Di Battista per le dittature sudamericane e per il regime di Teheran.

Per seguire con la confusione in politica estera di Salvini, che da segretario della Lega nel 2014 esaltava “lo splendido senso di comunità” che aveva trovato durante la sua visita in Corea del Nord, con l’ambiguità dei suoi rapporti con Putin, poi con le dichiarazioni di amicizia con Israele, i selfie con Trump, la visita in Qatar, il disastroso rapporto con la Libia, il totale isolamento in Europa sull’onda del “prima gli italiani” che sta mettendo a rischio proprio la sicurezza degli italiani.

E poi il nulla del Pd di Zingaretti, troppo concentrato sulle vicende interne al suo partito e privo di una qualunque idea se non il pacifismo retorico e inconcludente. Un Governo, quello Pd-5S, che usa il Ministero degli Esteri come contentino per le ambizioni personali di un politico piccolo, piccolo.

L’Italia è assente in un’Europa debole e sbandata. Le reazioni delle leadership europee all’uccisione di Soleimani sono inconsistenti. Dopo il silenzio seguito agli attacchi all’ambasciata Usa a Baghdad, si auspica moderazione, ci si affretta ad augurarsi una de-escalation da parte di Trump. L’Alto rappresentante Ue, Borrell, invita a Bruxelles il Ministro degli esteri iraniano invece di andare a Washington a capire che succede. Mike Pompeo, il segretario di Stato Usa, si è detto deluso della mancata sensibilità che Uk, Francia e Germania hanno avuto nel non essere vicini a Washington in questo momento di tensione con l’Iran, e che l’uccisione del capo dei Pasdaran ha salvato molte vite umane.

Le leadership europee sono condizionate dalla stampa e dall’opinione pubblica che sbandano tra il sovranismo isolazionista e il pacifismo antiamericano che fa dire che Soleimani era un eroe capace di sconfiggere l’Isis e che il nemico è Trump che mette a rischio i nostri sonni tranquilli, lontani dagli eccidi dei cristiani, dall’odio antisemita, e dall’espansione dell’Islam radicale.

Da quando, con la presidenza Obama, l’America ha rinunciato al suo ruolo di guida dell’Alleanza  atlantica e ha deciso il disimpegno dagli scenari di tensione internazionale, l’Europa ha reagito in modo nettamente contrario ai propri interessi. Ha osannato la politica di Obama, si è fatta irretire dal Premio Nobel per la Pace “anticipato”, ha festeggiato le Primavere arabe che però hanno destabilizzato il Mediterraneo.

L’Europa, con l’italiana Mogherini (messa lì da Renzi per risolvere un problema interno al Governo), ha seguito Obama e Putin nella firma del trattato antinucleare-farsa con l’Iran rimanendo poi inerme davanti alla strategia di espansione avviata subito dopo l’accordo dal governo di Teheran. L’Ue ha partecipato alla trattativa senza neanche provare a chiedere all’Iran di rinunciare al suo obiettivo primario: la distruzione dello Stato di Israele.

E anche l’Italia è caduta in quella trappola subendo le iniziative di Sarkozy in Libia, incapace, dopo la caduta di Gheddafi, di imporre una sua politica per la Libia, rifugiandosi dietro l’Onu solo per paura di affrontare le pressioni dei pacificisti nostrani. Debole e inconcludente, ha perso ogni presa sul futuro della Libia, Paese per noi strategico sia per gli approvvigionamenti energetici sia per il controllo dei flussi migratori.

Ma la vera questione oggi per l’Italia, al di là della debolezza cronica delle leadership interne che speriamo prima o poi di superare, è quella di definire i nostri interessi per provare a ricostruire un sistema di relazioni internazionali e di strategia di politica estera in uno scenario molto più complesso del passato.

Trump è imprevedibile, sembra muoversi al di fuori di una strategia chiara. Con l’uccisione di Soleimani ha segnato una chiara linea rossa in Medioriente per la difesa della presenza USA. Giusto e legittimo. Ma poco prima abbandona la Siria, licenzia Bolton considerato troppo duro con l’Iran, lasciando mano libera a Soleimani in Siria, Libano, Iraq e anche nello Yemen. Indebolisce la NATO, esulta per la Brexit, punta a dividere la UE e poi lamenta lo scarso appoggio dei Governi di Berlino, Parigi e Londra sulla sua azione contro l’Iran. Minaccia i Governi Europei che si accordano con XI Jinping sulla Via della Seta, ma poi impone dazi all’UE e punta ad un accordo con la Cina.

La politica di Trump, di disimpegno militare e diplomatico e di destabilizzazione degli alleati atlantici, lascia mano libera alla Russia, alla Cina e all’Iran che con strumenti differenti perseguono politiche espansive della loro sfera di influenza. E l’Italia viene attratta proprio dai Governi di questi tre Paesi. Intanto, nello Stretto di Hormuz, Russia Cina e Iran hanno fatto esercitazioni militari comuni.

L’Europa debole e divisa è sempre più ambigua sulle questioni che riguardano lo scontro nel mondo arabo. E’ sempre più sottomessa all’espansione interna dell’Islam radicale e rinnega e nasconde le proprie radici giudaiche. Non riesce a far fronte comune e si indebolisce anche dal punto di vista militare. La Brexit segna l’uscita dalla UE della maggiore forza militare europea.

Israele vive una fase di forte incertezza politica, va per la terza volta alle elezioni in meno di un anno. Resta l’avamposto della civiltà occidentale nello scontro con l’Islam radicale ma anche il Paese oggetto di maggiore ostilità da parte dei Paesi Europei e dell’ONU. L’Africa è drammaticamente destabilizzata con un enorme rischio di tensioni politiche e di pressione migratoria (i flussi migratori che abbiamo visto fino ad ora dall’Africa sono nulla rispetto a quello può accadere in un prossimo futuro).

In questo difficile scenario l’Italia deve trovare la propria rotta. Innanzitutto, definendo i propri interessi di sicurezza nazionale ed economici. Dobbiamo difendere le nostre frontiere e le nostre città sia da flussi di immigrazione non regolati, che dall’aggressione dell’Islam radicale. Dobbiamo difendere i nostri approvvigionamenti energetici, al di là di tanta retorica ambientalista, perché senza petrolio e gas le nostre industrie, la nostra agricoltura e le nostre città non vivrebbero. Dobbiamo difendere la stabilità del nostro sistema economico e la capacità di esportazione della nostra industria, attrarre investimenti esteri e rendere produttivo il risparmio interno.

Dobbiamo stringere alleanze economiche e scientifiche con i Paesi che possono dare valore alle nostre produzioni e ai nostri servizi. Dobbiamo difendere e consolidare il nostro sistema economico-produttivo e il nostro sistema finanziario. Dobbiamo usare al massimo le risorse messe a disposizione dall’Unione Europea per rafforzare il nostro sistema infrastrutturale e ridurre il divario Nord-Sud.

Per fare questo occorre riconquistare credibilità e affidabilità a livello europeo, per poi riprendere un ruolo guida, accanto alla Germania e alla Francia per dare all’Europa una prospettiva di unità, nella politica estera e nella difesa.  Dobbiamo rafforzare i nostri tradizionalmente buoni rapporti con gli USA non per assecondare le politiche divisive di Trump ma per convincerlo che “America First” è uno slogan che alla fine isola l’America e mette a rischio la sicurezza dei suoi cittadini. Dobbiamo rafforzare i nostri rapporti con Russia e Cina nella chiarezza delle nostre relazioni atlantiche. Dobbiamo essere a fianco di Israele e dei Paesi arabi che sono contro le forze religiose e militari che puntano alla distruzione dello Stato ebraico. Dobbiamo convincere i nostri alleati atlantici che stabilizzare l’Africa è un esigenza di tutti, non solo dei paesi più esposti ai flussi migratori incontrollati.

Per essere credibili in questa rinnovata azione di politica estera dobbiamo riconquistare credibilità e affidabilità, innanzitutto a livello europeo, affrontando le riforme strutturali che stabilizzino la nostra situazione debitoria e riprendano un perscorso di crescita della nostra economia. Per essere credibili nel mondo dobbiamo sapere che la forza militare di un Paese non può che rafforzare l’iniziativa diplomatica. Se smetteremo di essere un problema ma inizieremo ad essere un’opportunità il nostro ruolo non potrà non crescere in Europa e nel mondo.


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