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La lezione di Liliana Segre (contro l’odio). Il ritratto di Maria Latella

Ho incontrato Liliana Segre un anno fa, a New York. Lei era su un enorme schermo, io nel palazzo delle Nazioni Unite, circondata da centinaia di ragazzi, italiani e non, arrivati per le giornate di simulazione dei lavori Onu organizzate dall’associazione I Diplomatici. La senatrice cominciò a raccontarsi, con quel suo timbro da nonna che sa di catturare l’attenzione.

La sua infanzia a Milano, l’affetto fortissimo per il padre. Auschwitz arrivò nella narrazione senza alcun effetto speciale, ma nel vasto spazio delle Nazioni Unite fu come se, improvvisamene, tutto si fosse fermato. Eravamo cristallizzati dalle sue parole. Liliana Segre parlava delle profonde ferite dell’anima, di come solo il marito, conosciuto a 18 anni e rimasto accanto a lei per i successivi sessanta, fosse stato in grado di guarirle. L’amore mi ha salvata, diceva dallo schermo. I ragazzi ascoltavano senza muovere un muscolo. Alla fine, non volevano lasciarla andare. Non volevano che quel momento così speciale, e per niente virtuale, finisse. Un applauso lunghissimo, l’emozione che ancora contagia il ricordo. Il loro, e anche il mio.

Ci sono persone che trasformano un racconto in un momento indimenticabile. Liliana Segre è tra queste, e non solo perché la sua vita di sopravvissuta ad Auschwitz perfora il cuore. Credo che le sue parole sfondino sempre il muro dell’indifferenza perché lei indifferente non lo è stata mai. I ragazzi lo percepiscono, e le credono. Non solo loro.

In queste settimane, dopo le polemiche seguite al varo della commissione contro l’odio, il razzismo, l’antisemitismo che lei ha accettato di presiedere, ogni giorno la sua casella di posta del Senato riceve messaggi di apprezzamento e di simpatia. Studenti, insegnanti, famiglie. E gli haters? Certo, continuano a scrivere anche loro, pur se le cifre fornite qualche tempo fa sono risultate largamente esagerate. Eppure, proprio aver reso noti quegli attacchi ha provocato una reazione, spingendo alla tastiera un pezzo d’Italia che altrimenti non si sarebbe fatta sentire. Italiani fieri di un’italiana come Liliana Segre.

La senatrice a vita, nominata da Mattarella, rappresenta un concentrato di quei comportamenti coerenti – diciamo pure seri – che alla sua generazione apparivano scontati e che invece oggi sembrano eccezionali. Ha i suoi princìpi, ha le sue convinzioni, ha espresso il suo voto a favore del Conte bis, ma quando l’assessora del comune di Napoli, la stessa che in Rete definisce Israele un Paese nazista, ha proposto di darle la cittadinanza della città, ha risposto secca: “Non mi faccio strumentalizzare”. È una milanese pragmatica, così quando hanno lanciato l’idea di candidarla al Quirinale ha sorriso: alla mia età, quasi novant’anni? E senza alcuna esperienza politica? Però, se gli anni fossero stati di meno, chissà.

Liliana Segre è sopravvissuta all’Olocausto e alle ferite interiori che per anni l’hanno tormentata. Non era facile parlare di Auschwitz nell’Italia del boom economico che voleva solo dimenticare. Così non ne ha parlato per decenni, ma poi, con i figli ormai grandi, ha deciso che era arrivato il momento di ricordare. O di far sapere. La sua vita, del resto, è ricominciata tante volte. Dopo il campo di concentramento, rientrata a Milano e senza più genitori. Dopo la lunga stagione di moglie e madre quando, a cinquant’anni, decise di occuparsi dell’azienda tessile di famiglia nella quale ha lavorato per i successivi trenta. E quando ha scelto di andare a parlare nelle scuole. La nuova vita da “marziana della politica”, come dice lei, l’ha catapultata in una dimensione totalmente diversa, con tanti che la stimano e altri che la attaccano.

Ma se l’odio non l’ha piegata quando aveva 13 anni, non ce la farà nemmeno stavolta. È bello sentir dire “Io non mi arrendo” da una nonna con uno sguardo limpido.

LA FORMICA DELL’ANNO

Ottantanove anni. Nasce a Milano da una famiglia ebraica. Vive una persecuzione, il carcere, la deportazione dal tristemente noto binario 21, destinazione Auschwitz. Dopo un silenzio lunghissimo ha deciso di raccontare la propria storia, essendo rimasta una delle poche testimoni nel nostro Paese della Shoah. Entrata nei campi di sterminio appena 14enne, sarà tra i pochi minori italiani a tornare a casa. Sposa Alfredo Belli Paci, anche lui, seppur cattolico, rinchiuso in lager per non aver aderito alla Repubblica di Salò. Oggi è senatrice a vita dal 2018, nominata dal presidente Sergio Mattarella, e ha fatto istituire, tra le polemiche di una parte del Parlamento, una Commissione parlamentare di indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio.


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