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Cosa non ci convince del Manifesto di Assisi. L’opinione di Morelli e Paganini

Di Raffaello Morelli e Pietro Paganini

Oramai da molti anni e ancora oggi nell’anno 2020, le organizzazioni italiane dell’area ideologico religiosa individuano la radice dei problemi del paese non solo nel debito pubblico ma nelle diseguaglianze sociali e territoriali, nell’illegalità, nell’economia in nero, nell’incertezza.

Il Forum della Coldiretti di Cernobbio ha dato corpo ad un testo chiamato Manifesto che il Convento di Assisi (24 Gennaio) ha consacrato con quasi duemila sottoscrittori. Il Manifesto sollecita il coraggio di affrontare la crisi climatica e di rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo. Pertanto richiede la partecipazione dei cittadini, nel solco dell’Enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco e nell’obiettivo di un futuro comune.

Da questo Manifesto traspare in chiave ideologico religiosa il solito pregiudizio – non solo italiano – contro il cittadino individuo. Di fatti afferma di concepire l’economia verde come mezzo per fare della coesione sociale un fattore produttivo coniugando empatia religiosa e tecnologia.

All’apparenza, il Manifesto riprende l’impostazione programmatica del nuovo presidente Ue, Ursula Von de Leyen, espressa nel discorso parlamentare di luglio e poi esplicitata in atti concreti di governo dopo l’insediamento. Solo in apparenza, però. Von der Leyen è di cultura protestante mentre la Coldiretti e le sue firme sono di cultura cattolica. Così l’economia verde della Presidente Ue è uno strumento istituzionale che innesca modi innovativi e diversificati di svolgere l’attività economica da parte dei cittadini al fine di risolvere un problema nel convivere.

Il Manifesto ribalta tale impostazione. Il suo obiettivo è sventolare una bandiera di principio politico che induca quel conformismo sociale considerato dalla visione religiosa una società e un’economia più a misura d’uomo in quanto comunità. Quindi non per caso, l’impostazione von der Leyen è condivisa dai liberali, che sono stati nel gruppo appena sufficiente ad eleggerla, mentre non può esserlo il Manifesto di Assisi.

Il Manifesto, seppur con toni più felpati (del resto caratteristici della propria appartenenza religiosa), adotta l’approccio usato negli stessi giorni a Davos nel Forum mondiale dell’economia dalle elite autoreferenziali. Quest’anno contrapponendo ai grandi titolari di incarichi politico economici nel mondo, l’icona messianica della sedicenne svedese Greta Thunberg. Utilizzata quale simbolo del preoccuparsi dei destini dei cittadini del mondo, enunciando suoni profetici senza conoscere davvero i problemi trattati e soprattutto senza provare ad avere un piano per aggiustare i meccanismi non funzionanti al di fuori della denuncia emotiva. A Davos si rassicura, e al comando restano le elites intoccabili che suonando la campanella d’allarme impongono ai paesi in via di sviluppo regole e modelli morali senza, però, offrire loro alternative concrete o aiuti.

Allo stesso modo, i mali dell’Italia non si affrontano con le prediche sul dover essere dell’economia più umana, sull’illegalità, sulla coesione sociale e nel solco dell’enciclica papale. Servono nuove idee e cambiamenti operativi. Appunto quelli che non vogliono le ampie schiere dei restauratori italiani. Che si scandalizzano sul cosa fa il parlamento eletto il 4 marzo 2018, per cancellare quanto hanno fatto quelli da loro controllati e che hanno causato populismo e sovranismo.

Il piano von der Layen promette di essere efficace perché effettua grandi investimenti nel settore ambientale così da cambiare registro economico rispetto all’ultimo decennio. Il rigore nei conti non è più contrapposto alla produzione, ma ne è il modo d’essere necessario, confermandosi il produrre la chiave ineludibile dell’agire politico attivata dall’innovazione nei prodotti e nei processi produttivi, che sola assicura la crescita. E in questo quadro, viene messo a fuoco il dato di fatto per cui l’indebitarsi per investire davvero innovandosi, è l’esatto opposto dell’indebitarsi senza progetto economico salvo quello di distribuire risorse assistenziali che puntellano chi stabilisce l’erogazione.

Il coraggio è indispensabile sì, ma per cambiare registro nell’amministrare la cosa pubblica, non per essere bravi sudditi. Non per riprendere a celebrare le fallimentari abitudini delle elites di potere ideologico religioso che diffidano dei cittadini individui e non li stanno a sentire sul serio neppure quando segnalano per tempo ciò che non funziona.


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