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Mattarella in Qatar e Guerini in Iraq. Così l’Italia segue gli interessi in Medio Oriente

Il presidente Sergio Mattarella è stato ricevuto a Doha dall’emiro Tamim Bin Hamad. Seppur escluso dalla Conferenza di Berlino, il Qatar gioca un ruolo importante nella partita libica a sostengo di Fayez al Serraj. “Una posizione saggia” che l’Italia condivide, ha detto Mattaralla, protagonista di una visita che ha avuto al centro anche gli interessi economici, soprattutto nel campo della difesa. Interessi simili a quelli che l’Italia ha in Iraq, sia nella lotta all’Isis (con la sponda degli Stati Uniti), sia in campo energetico, essendo il primo fornitore di petrolio. Non a caso, come aveva promesso, il ministro Lorenzo Guerini è tornato oggi in visita ai contingenti impegnati nell’area, alcuni dei quali riposizionati dopo l’uccisione di Qassem Soleimani e la crisi tra Iran e Stati Uniti. In un contesto ancora incerto, la priorità è la sicurezza dei militari italiani.

UNA SPONDA PER LA LIBIA

Per quanto riguarda il complesso dossier libico, a Roma interessa da tempo il ruolo di Doha. Grande escluso dal vertice di domenica a Berlino, il Qatar rappresenta il principale sponsor (insieme alla Turchia) del premier Fayez al Serraj, un tassello da dover considerare nella ricerca di una stabilità in Libia. Lo dimostrano le parole di Mattarella, secondo cui l’Italia appoggia “la posizione saggia” di Doha. “Non è possibile che in Libia si prenda il potere con le armi”, ha aggiunto il presidente, chiarendo la posizione nazionale: “Sosteniamo la legittimità del governo di al Sarraj, ma dialoghiamo con tutti”.

Non è mancato il riferimento all’invio di truppe da parte di attori esterni: “Bisogna aiutare l’Onu evitando l’errore grossolano dell’offensiva militare e la presenza militare di altri Paesi; questi interventi ci sono già stati ma vanno ridotti”. Da parte sua, l’Emirato continua a dimostrare grande interesse nel rafforzare le relazioni con i Paesi europei, un modo per uscire dall’isolamento in cui le altre monarchie del Golfo (Arabia Saudita in testa) hanno cercato di rinchiuderlo da circa due anni, con l’accusa di sostenere le ambizioni iraniane nella regione mediorientale e di offrire supporto ai Fratelli Musulmani in Egitto e a gruppi integralisti come Hamas.

Ma i rapporti tra Italia e Qatar hanno radici più profonde. Lo ha ricordato lo stesso emiro, raccontando di quanto il padre Hamad visitò Roma nel 2000. Mattarella era allora ministro della Difesa, e fu lui a spiegargli il ruolo e le caratteristiche dell’Arma dei Carabinieri. Ritornato in Qatar, Hamad creo un corpo militare simile, “custode della sicurezza interna”.

I LEGAMI CON IL QATAR

Alla luce del nuovo attivismo del Qatar nei rapporti internazionali, la visita di Sergio Mattarella è anche “business oriented”. Dopo il colloquio con il capo dello Stato, l’emiro Tamim Bin Hamad, ha invitato a colazione gli amministratori delegati delle principali aziende italiane, tra cui Leonardo, Fincantieri, Eni, Saipem, Cassa depositi e prestiti ed Elettronica. D’altra parte, nel 2018 l’interscambio commerciale tra Italia e Qatar è stato pari a 2,6 miliardi di euro, in aumento rispetto ai 2,3 dell’anno precedente. Pesa in particolare il settore della Difesa.

Ne è prova il programma di acquisizione navale che l’Emirato ha assegnato a Fincantieri nel 2016, per sette navi (tutte costruite nei cantieri italiani del Gruppo guidato da Giuseppe Bono) e circa 4 miliardi di euro. Fu “il sistema-Italia” a vincere quella commessa, con il coinvolgimento sul programma di Leonardo, MBDA ed Elettronica. Poi, a marzo 2018, è arrivato l’ordine dall’Aeronautica del Qatar per 28 elicotteri militari NH90, prodotti da Leonardo (che agisce in qualità di prime contractor) insieme al gruppo franco-tedesco Airbus e all’olandese Fokker.

L’IMPEGNO ITALIANO IN IRAQ

E mentre Mattarella incontrava l’emiro qatarino, il ministro Guerini faceva tappa alla Task Force Air in Kuwait. Il tricolore che sventola nella base, ha detto via twitter, “testimonia competenza e professionalità delle Forze armate italiane”. Di più: “Conoscere ciò che fate per l’Iraq contro Daesh mi rende orgoglioso di guidare la grande famiglia della Difesa”. La missione Prima Parthica conta all’incirca 900 militari, 300 mezzi terrestri e una dozzina di velivoli. Dispiegata tra Kuwait e Iraq, rappresenta il contributo italiano alla Coalizione internazionali anti-Daesh.

Già a dicembre, il titolare della Difesa aveva fatto visita alle basi di Camp Dublin a Baghdad e di Camp Singara a Erbil, nel Kurdistan iracheno, con una sosta anche alla Task Force Air Kuwait, componente impegnata in operazioni di ricognizione e sorveglianza a favore della Coalizione. In Iraq, i militari italiani si occupano prevalentemente di addestrare le forze di sicurezza e difesa peshmerga e irachene, un impegno sospeso dopo l’uccisione del leader iraniano Soleimani. Protagoniste del “riposizionamento” soprattutto le unità presenti nella capitale irachena, spostate tra la zona dell’aeroporto, Erbil (dove è andato il comandante Paolo Attilio Fortezza) e Kuwait.

LE PRIORITÀ ITALIANE

Proprio da loro è andato Guerini. Già qualche giorno dopo la morte di Soleimani, nel primo contatto ufficiale tra i governi italiano e statunitense, il ministro italiano spiegava al capo del Pentagono Mark Esper l’intenzione di confermare l’impegno per “consolidare i risultati raggiunti” nella lotta contro l’Isis. Difatti, l’instabilità provocata dalla crisi tra Stati Uniti e Iran non ha ridotto la validità della missione italiana. Anzi, il sedicente Stato islamico potrebbe approfittare delle turbolenze sul terreno e della riduzione di operatività da parte della Coalizione internazionale. Washington lo sa, ed è per questo che Esper, dopo la telefonata con Guerini, scriveva: “La decisione dell’Italia di mantenere le forze a Baghdad è importante, dimostra la determinazione e l’impegno per la stabilità irachena”.

LE IPOTESI SUL TAVOLO

L’impegno internazionale potrebbe comunque essere rimodulato. Oltre alla Coalizione anti-Isis, opera nel Paese la “Nato Mission Iraq”, missione addestrativa dell’Alleanza Atlantica lanciata a luglio del 2018. Con circa 500 unità (otto italiane), l’operazione ha sospeso le attività dopo l’uccisione di Soleimani. Considerando l’intenzione dell’amministrazione Trump di ridurre la presenza sul campo, nonché la risoluzione del parlamento iracheno per la rimozione dei contingenti stranieri (che però “non riguarda il personale italiano”, ha spiegato Guerini riportando il colloquio con le autorità irachene), c’è l’idea che “la Nato possa rappresentare la futura dimensione dalla missione in Iraq”. Si tratterebbe, di un “graduale passaggio di competenze dalla Coalizione alla Nato”, notava il ministro italiano nell’audizione in Parlamento della scorsa settimana.

INTERESSI COMMERCIALI

Di sicuro c’è il mantenimento degli impegni dell’Italia. L’intenzione è stata ribadita anche alle autorità locali, ben sostenuta dall’apprezzamento di esse (anche nel Kurdistan) per il ruolo dei militari italiani. Il sostegno alla stabilità del Paese è funzionale agli interessi nazionali, ha chiarito a più riprese Guerini. Difatti, secondo l’Ice, tra gennaio e settembre dello scorso anno, l’Italia ha importato dall’Iraq petrolio per 3,8 miliardi di euro, in crescita rispetto ai 2,6 dello stesso periodo del 2018. Per l’Unione petrolifera, nel 2019 è arrivato dall’Iraq il 20% dell’import nazionale di greggio. Il Paese è il primo fornitore dell’Italia di petrolio, davanti a Russia e Libia, anche a fronte del brusco calo delle forniture iraniane. Considerando l’instabilità libica, i legami con l’Iraq diventano ancora più strategici.

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