Scriviamo ancora una volta degli arcana imperii, e cioè di quella roba che seduce gli italiani quanto la cartavetrata grattata ferocemente nel timpano e di cui una buona parte della classe politica poco capisce, ma che, piaccia o no, rappresenta il cuore del sistema di potere. Che cos’è? Ma la legge elettorale, ovviamente.
Dopo la pronuncia di rigetto del referendum chiesto da Salvini, resa nota dalla Corte un paio di giorni fa, si è scatenato il festival dell’orfano del maggioritario, con tanto di lamentazioni, dotti argomenti giuridici, editoriali intinti nel blu nobile e sguaiatezze della politica prêt-à-porter. La vasta platea dei critici – i quali sostanzialmente obiettano alla Corte di aver impedito, non ammettendo il referendum, la possibilità di una chiara alternanza tra poli nel governo del paese agevolando così, attraverso la prosecuzione dell’esperienza proporzionalistica, la prosperità dei pastrocchi tra partiti in partenza alternativi – sta riempendo le pagine dei giornali per l’esercizio effimero di qualche giorno di pubblicità.
Siccome, però, avremo a seguire un lungo dibattito, con evidenti suggestioni onanistiche, sulla nuova legge elettorale, cerchiamo di capire, in sintesi, come stanno le cose.
1) Innanzitutto intendiamoci su un fatto: siamo alla vigilia del sesto cambiamento di legge elettorale in poco più di cinque lustri. Una follia generatrice d’instabilità politica, con tutto quel che ne consegue. Diamo un’occhiata al mondo democratico europeo e transoceanico: non esiste al mondo un Paese che cambi le leggi elettorali – che sono la regola del gioco di tutti – quasi ad ogni legislatura, così, per “aggiustare” preventivamente i risultati in favore della maggioranza parlamentare ancora in sella. Salvo poi soggiacere alla regola dell’eterogenesi dei fini (per cui chi fa la legge per avvantaggiarsene, poi puntualmente perde).
2) Se legge elettorale dev’essere fatta, allora, non può non seguire il solco tracciato dalla Consulta e muoversi verso un approdo proporzionalista. Esistono ragioni di coerenza costituzionale, ma più ancora dovrebbero interessare ragioni elementari di buon senso. Il maggioritario, che funziona efficacemente all’interno di società omogenee e non invece in realtà come quella italiana caratterizzate da una forte eterogeneità, vive una stagione di difficoltà anche nei paesi europei che da tempo lo praticano per vocazione e cultura. E questo perché nello schema bipolare che ha retto l’esperienza della forma-partito nel secondo novecento, si è inserito dappertutto il terzo incomodo populista che ha spezzato la storica simmetria destra-sinistra.
3) Dobbiamo tutti abbandonare l’idea che l’astrazione dottrinario-manualistica delle leggi elettorali possa mettere i cancelli alla forza della tradizione politica e alla cultura di un popolo: la stagione più difficile per la durata delle legislature e dei governi l’abbiamo avuta tra il 1994 e il 2001, quand’era in vigore il cosiddetto Mattarellum (absit iniuria verbis) che rappresentò il grado più alto di maggioritario del dopoguerra. Vogliamo dimenticare legislature durate solo 2 anni (1994/1996) e coalizioni formate da micropartiti unicellulari riprodottisi metastaticamente? Vogliamo dimenticare la conflittualità Infracoalizionale che tormentava i governi? Diciamolo una volta per tutte: il maggioritario in Italia non ha funzionato quando era in auge, figurarsi oggi che appare sul viale del tramonto in mezzo mondo.
4) C’è una legge elettorale ideale per l’Italia? Valutando in termini di efficacia diremmo che quella in vigore nei Comuni, con elezione diretta del sindaco attraverso eventuale ballottaggio e con impianto proporzionale con premio di maggioranza, sembrerebbe migliore. Sennonché c’è un problema: come si fa ad adottare il ballottaggio in un sistema bicamerale, con il rischio di produrre due diversi risultati per Camera e Senato? Personalmente mi accontenterei della modifica sul tappeto alla Camera, dove viene tolta dal Rosatellum la quota maggioritaria. Ad una condizione, però: ridateci il voto di preferenza.
Perché non è proprio normalissimo un sistema elettorale che per i Comuni, le Regioni e persino per l’Europa consente al cittadino di scegliersi con la preferenza il proprio candidato e poi, arrivati alla soglia del Parlamento confischi il voto consegnandolo ai capi-bastone.