Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Da Salerno ad Hammamet. La parabola di Craxi letta dal prof. Pennisi

Sono passati vent’anni dalla morte, in esilio, di Bettino Craxi, a mio avviso uno dei rari veri statisti che ha conosciuto l’Italia repubblicana. Negli ultimi giorni, molto si è scritto sulla sua figura, anche in occasione di manifestazioni per ricordarlo, a Hammamet e a Roma, a cui ragioni di salute mi hanno impedito di partecipare. Mi auguro che nei prossimi anni storici di vaglio approfondiscano la complessa materia del ruolo di Craxi e analizzino per quale motivo l’offensiva politico-giudiziaria si sia accanita principalmente contro di lui, mentre il finanziamento illegale della politica (coniugato a volte con arricchimenti personali) riguardava (e forse riguarda ancora) un intero ceto politico. Nel contempo, vorrei lanciare un’ipotesi che a mio avviso, merita di essere studiata.

Il viaggio verso Hammamet è, a mio parere, iniziato decenni prima l’effettiva partenza di Craxi per la Tunisia. Palmiro Togliatti – ricordate – amava dire “veniamo da lontano ed andremo lontano”. Il viaggio è probabilmente, cominciato con “la svolta di Salerno”, dell’aprile 1944 quando il leader del Pci entrò nel governo “di unità nazionale” del Regno d’Italia che, in effetti, controllava solo il sud della penisola. Nel marzo 1944 Togliatti aveva parlato con Stalin su come condurre la situazione in Italia al suo ritorno: per l’accordo tra i “grandi” l’Italia sarebbe entrata nella zona d’influenza occidentale e non si poteva fare la rivoluzione; partendo da Gramsci, dalla sua analisi delle “casematte” che la borghesia ha nella società per subordinarla, Stalin aveva detto che si poteva conquistare parte di quelle casematte, ma il Pci non doveva mai entrare al governo.

Dal 1945 ci fu un intenso lavoro del Pci per conquistare gli intellettuali, con esiti molto soddisfacenti, e si pensò di agire anche verso la magistratura. A Mosca, Togliatti aveva compreso che il Commissario del Popolo alla Giustizia, Beria, era più importante dello stesso Stalin: la “casamatta” da conquistare, o dove mettere un piede saldamente, era l’ordine giudiziario.

A Salerno, Togliatti chiese ed ottenne di essere ministro di Grazia e Giustizia, carica che mantenne nel 1945-46, coi governi Parri e De Gasperi. La magistratura era molto screditata per tutti i processi agli antifascisti. Togliatti fece una selezione al suo interno con la discriminante non su quanto qualcuno era compromesso col passato ma su quanto era disposto a seguire le sue direttive. Tra l’altro, utilizzò in modo sapiente l’art. 122 del Regio Decreto del 30 gennaio 1941 n.12 che consentiva “l’ammissione straordinaria” di avvocati in magistratura. Da un lato, con l’amnistia, si faceva un’azione di pacificazione nazionale; da un altro, con “l’ammissione straordinaria” di circa 400 avvocati “di area”, Togliatti creava, all’interno dell’ordinamento, un corpo che sarebbe stato “fedele” al Pci. Di questa politica togliattiana la direzione della Dc era perfettamente al corrente; di fatto la magistratura in quanto istituzione, e il suo organo di autogoverno (Consiglio superiore della magistratura) in particolare, divennero un grosso centro di potere spesso in connivenza ma anche in contrasto col potere politico, e influenzato dai partiti.

Sino a quando avesse prevalso la divisione geopolitica definita a Yalta, tale corpo avrebbe fatto da contrappeso ai magistrati contigui al vecchio regime ed alla Dc e sarebbe servito come strumento “di garanzia”. Ove fosse finita la divisione geopolitica definita a Yalta, tale corpo sarebbe potuto diventare un ariete per giungere al governo del Paese. In parallelo, istituti vicini al Pci iniziarono un’attività seria e rigorosa di corsi di preparazione al concorso in magistratura. Il disegno era coerente, “all’ammissione straordinaria” dei magistrati alla fine degli anni Quaranta corrispondeva la preparazione dei magistrati del futuro. Inoltre la “legge sulle guarentigie”, varata dal Guardasigilli Palmiro Togliatti due giorni prima del referendum istituzionale del giugno 1946, operava una “rimozione chirurgica” di alcuni punti che maggiormente limitavano l’indipendenza del magistrato. In tal modo, il Partito del “migliore” poteva presentarsi come il paladino dei giudici ed acquisire consensi tra i magistrati.

Una curiosità: nel 1960, redigendo, per il dizionario enciclopedico Utet, la voce ”pubblico ministero”, Luigi Conti – avvocato entrato in magistratura con il “decreto Togliatti” – scriveva: “Il pubblico ministero è il rappresentante del potere esecutivo presso l’autorità giudiziaria… Quale rappresentante del potere esecutivo è vincolato a eseguire gli ordini dei superiori gerarchici”; così riproponendo tranquillamente, a dodici anni dall’entrata in vigore della Costituzione, la medesima definizione dell’ordinamento giudiziario del 1865.

Per decenni, come è noto, “correnti” di varia natura, più o meno collegate con partiti politici, si sono confrontate all’interno della magistratura. Quando si arrivò al crollo del muro di Berlino, ed a quella che Francis Fukuyama chiamò “la fine della storia”, esisteva, all’interno della magistratura italiana, un corpo che, nato con “la svolta di Salerno”, poteva trasformare in vittoria in Italia quella che era stata la maggiore sconfitta storica del Novecento.

È naturale che, a questo punto, il Pci e i corpi a lui affini vedessero in Craxi, e nel Psi da lui guidato, il loro maggiore avversario. Era il duro anticomunismo di Craxi e il liberal-socialismo del Psi che avevano tenuto in un angolo il Pci nelle sue varie trasformazioni (tra cui “l’eurocomunismo”). Poco contava che il Pci ed i suoi addentali con oltre 30mila dipendenti avessero problemi di finanziamento della politica anche maggiori di quelli del Psi con i suoi 4mila dipendenti. Era il momento di completare “la svolta di Salerno”.

È unicamente un’ipotesi che spero gli storici analizzino a fondo.

×

Iscriviti alla newsletter