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Quanto pesano le Sardine sulla vittoria di Bonaccini. Il commento di Pisicchio

Quando gli analisti andranno a catalogare ogni possibile sospiro delle dinamiche elettorali in Emilia-Romagna per raccontare le ragioni della vittoria di Stefano Bonaccini – meritevole, secondo noi, di elogio essenzialmente per aver saputo ancorare il confronto al territorio, smontando, così, la strategia salviniana – dovranno imbattersi in un ircocervo e raccontarlo scientificamente.

Quell’ircocervo che è riuscito a portare al voto grappoli di elettori sperduti per le vie di Bologna e della vasta regione emiliano-romagnola dove, a dispetto di Lucio Dalla, non era più vero che non si perdeva mai nessuno, è un animale acquatico che si muove in branco e si chiama Sardina. Anzi: Sardine. È questa la novità su cui va fatta una riflessione per comprendere se nella contabilità del dare/avere del centrosinistra italiano, possa esistere un debito nei confronti di questi giovani che indubitabilmente si situano nel quadrante del riformismo progressista.

Il contributo delle Sardine alla vittoria di Bonaccini è raccontato dall’importante lievitazione della partecipazione al voto: siamo onesti, quanti di noi prendendo atto dei dati sull’affluenza al voto diffusi dal Viminale, ieri hanno pensato che si trattasse di ettolitri di acqua portati al mulino di Salvini? E invece no: c’era dentro anche il recupero al voto di una bella fetta di popolo dispersa o ormai anaffettiva, in una misura così importante da neutralizzare i neo-salvinisti e perfino il danno – piccolo ma sincero – inferto dall’ “originale” candidatura dell’alleato di governo pentastellato. Si dirà “è vero, ma giocavano in casa”. Giusto, si vedrà cosa potrà accadere altrove. Ma, in attesa dell’altrove, appare interessante la natura di questa nuova apparizione sulla scena pubblica italiana. Cominciamo a domandarci che cosa sono le Sardine. Non un partito, certamente, e non solo perché la loro leadership orizzontale e puntiforme lo nega: mancano i requisiti di base come la struttura associativa, la contendibilità delle cariche, l’indeclinato, se non per larghi temi, paradigma ideologico, il radicamento territoriale ecc.

La morfologia è dunque quella tipica del movimento: poche e generali issues, privilegiamento delle manifestazioni di piazza, struttura organizzativa snella, scelta necessaria dell’azione piuttosto che della procedura che ad essa conduce. Anche il Movimento Cinque Stelle, però, è, appunto, un movimento eppure sembra lontano anni-luce dalle Sardine. Intanto per la scelta del “come stare” sulla scena pubblica: se per i 5S la priorità è stata, fin dalle prime apparizioni, l’antagonismo, la durezza del linguaggio e, insieme una rivendicazione di alterità populistica all’establishment, Pantheon di principi che, una volta al potere, è diventato difficile da reggere, per le Sardine le parole d’ordine sono politica competente, linguaggio pulito, Costituzione. Del movimento moderno utilizzano le risorse messe a disposizione dalla tecnologia digitale, ma considerandole, appunto, strumento e non fine. L’aspetto rilevante delle Sardine sta nell’interazione collaborativa con altri soggetti politici e culturali compatibili per affermare gli obiettivi condivisi e dunque non nella solitaria ed autoreferente esclusività del proprio agire pubblico. Questa caratteristica “collaborativa” li allontana dall’idea di movimento che circola in questo periodo e sembrerebbe più appropriata riferirla ad un partito politico. Dunque l’ircocervo Sardine, metà movimento, metà partito. Chissà se è nata un forma della militanza capace di tracciare una modellistica nuova della politica contemporanea. Lo scopriremo presto.

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