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Tra spie cinesi e pressioni di Huawei, la Merkel decide sul 5G. E l’Italia?

Nelle ore in cui la cancelliera Angela Merkel incontrava i deputati del suo partito, ancora diviso sulla decisione prossima del governo sul ruolo del colosso cinese Huawei nell’infrastruttura 5G del Paese, la magistratura tedesca apriva un’indagine su tre persone accusate di spionaggio a favore della Cina. Tra di loro, un ex diplomatico che è stato ambasciatore dell’Unione europea e che oggi lavora per una società di lobbying. Il suo nome non è stato reso noto ma sappiamo che ha lavorato con un ruolo importante per la Commissione europea e poi nel servizio esterno dell’Ue, occupando posizioni da ambasciatore in diversi Paesi, prima di concludere la carriera nel 2017.

Il diplomatico è sospettato di aver rivelato segreti industriali ai cinesi. Indagati anche altri dipendenti della società di lobbying: perquisite proprietà a Berlino, Bruxelles oltre che nel Baden-Wuerttemberg e in Baviera, ma al momento non ci sono stati arresti. Raccontando il caso, il South China Morning Post ha sottolineato che nell’inchiesta è implicato anche il ministero della Sicurezza di stato cinese, che gestisce il principale servizio di controspionaggio della Repubblica popolare.

Non è il primo caso di spionaggio cinese in Europa. Alcuni mesi fa Bloomberg aveva raccontato come il Belgio sia diventato una tana che le spie cinesi utilizzano da “porta” per l’Europa. Sempre dal Belgio arrivava la storia  di un ricercatore estradato negli Stati Uniti perché accusato di aver cercato di carpire, dal Belgio appunto, segreti all’americana General Electrics. Arrivarono poi il caso francese e quello italiano (legato a Vodafone) a gettare ombre sull’operato di Huawei e delle aziende cinesi nel Vecchio continente.

Negli ultimi giorni Pechino, così come dall’altra parte Washington, ha aumentato le pressioni. Come ha spiegato il New York Times, la Germania rischia la rappresaglia cinese sul settore dell’automotive, che non è soltanto un enorme bacino elettorale per la cancelliera Merkel e la sua Cdu. Infatti, Volkswagen, BMW e Daimler vendono più vetture in Cina che in ogni altra parte del mondo. Inoltre, Audi (gruppo VW) e Huawei hanno annunciato a metà 2018 un progetto di cooperazione sulla guida autonoma; Daimler, il cui 9.9% è nelle mani dell’investitore cinese Li Shufu, utilizza Huawei; Bmw e altri sono partner del colosso delle telecomunicazioni per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo.

La sfida per i Paesi che pensano all’ingresso di Huawei nelle loro infrastrutture riguarda il rapporto di Huawei con il governo cinese (la legge cinese sulla Sicurezza nazionale che dal 2017 prevede l’obbligo per le aziende di collaborare e condividere informazioni con i Servizi e il governo qualora richieste). In particolare, sta emergendo la tendenza a differenziare le parti “core” e “edge”. Lo raccontavamo l’altro giorno parlando di un altro Paese che a breve dovrà decidere sul 5G, il Regno Unito: alcuni mesi fa Maurizio Mensi, allora presidente dell’Organo di vigilanza sulla rete Tim, dopo il caso Vodafone in Italia disse a Formiche.net che “quando si parla di reti è difficile distinguere tra elementi centrali o secondari, tra parti ‘core’ o ‘edge’, come invece vorrebbe fare Londra”. È la stessa linea indicata anche nell’ottobre 2018 dal capo dell’Australian Signals Directorate, Mike Burgess: “La distinzione tra ‘core’ ed ‘edge’ svanisce quando si parla di 5G”, disse durante un discorso pubblico a Canberra.

Una preoccupazione condivisa anche dagli ambienti americani che questa mattina si sono svegliati leggendo l’articolo del Foglio che racconta come Palazzo Chigi voglia rivedere i requisiti di accesso al 5G, come chiede il presidente statunitense Donald Trump, per non agevolare la vita alle aziende cinesi. Roma punterebbe al modello francese sul 5G, maglie così strette da escludere di fatto le aziende cinesi. Il timore statunitense è che sia “wishful thinking” e poco più. Washington appare piuttosto disillusa verso le promesse italiane (basti pensare agli sforzi serviti per convincere Roma a fermare Mahan Air): questa volta, nello specifico, sospetta che il governo italiano alla fine non ascolterà i consigli del Copasir, tornando sui suoi passi (sempre più in direzione Via della Seta) soltanto dopo aver incassato dagli Stati Uniti la cabina di regia sulla Libia in occasione della conferenza di Berlino di domenica.

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