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La sfida Usa a tutto campo. Il rapporto del Cnas sulla Cina

Rising to the China challenge: renewing American competitiveness in the Indo-Pacific è il titolo di uno studio pubblicato ieri dal Center for a New American Security (Cnas), un think tank statunitense molto sensibile ai temi della difesa e dell’Asia, fondato nel 2007 da Michèle Flournoy e Kurt M. Campbell, due ex membri della precedente amministrazione statunitense, quella guidata dal democratico Barack Obama.

Il cuore del documento è nella proposta di un approccio multidisciplinare alla sfida con la Cina, articolato su sette vettori strategici della competitività americana. Primo: sostenere la deterrenza militare convenzionale. Secondo: mettere al sicuro i vantaggi tecnologici statunitensi. Terzo: rafforzare il potere economico e di leadership degli Stati Uniti. Quarto: rafforzare la diplomazia americana. Quinto: competere su ideologia e narrativa. Sesto: promuovere la libertà digitale e contrastare l’illiberalismo high-tech. Settimo: coltivare i talenti per competere con la Cina.

Per questo, tra le proposte del Cnas c’è quella di un ente multilaterale che coordini le politiche delle “democrazie”, si legge nel documento, per quanto riguarda la tecnologia. “La cooperazione multilaterale tra Paesi che la pensano allo stesso modo servirebbe ad aumentare l’efficacia delle misure in una vasta gamma di settori, tra cui ricerca e sviluppo, diversificazione e sicurezza della supply chain, definizione degli standard, controlli multilaterali all’esportazione e contrasto degli usi illiberali della tecnologia”, recita il rapporto. Che continua: “Per raggiungere il necessario livello di coordinamento e collaborazione, gli Stati Uniti dovrebbero guidare la creazione di un nuovo raggruppamento multilaterale sulla politica tecnologica” con le “principali potenze tecnologiche ed economiche liberaldemocratiche – tra cui Australia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Paesi Bassi, Corea del Sud e Regno Unito, tra gli altri”.

Che cosa potrebbe fare la nuova organizzazione? “Cooperare su 5G, semiconduttori, intelligenza artificiale, sicurezza informatica, internet delle cose e altre tecnologie significative. Una maggiore condivisione e cooperazione delle informazioni potrebbe aiutare le nazioni a sviluppare soluzioni di cooperazione per la leadership tecnologica e difendersi dal furto di proprietà intellettuale, dallo spionaggio e da altre pratiche commerciali sleali che danneggiano la concorrenza e distorcono i mercati liberi”.

Il documento del think tank, pubblicato ieri, nel giorno della decisione britannica sul 5G, sembra una risposta a quanto scritto su Twitter da Bob Menendez, senatore democratico del New Jersey e membro del comitato Relazioni estere del ramo più alto del Congresso: “Mentre sono deluso dal fatto che il Regno Unito abbia scelto di lavorare con Huawei visti i reali rischi di sicurezza che questo genera, la decisione di oggi è il risultato del tutto prevedibile della fallimentare politica estera dell’amministratore Trump”. E continua: “Se trattiamo alleati e partner come nemici o polli da spennare, non dovremmo rimanere sorpresi se poi non sono interessati a lavorare con noi. Non è vincente. È perdente. E su una scala enormemente e strategicamente costosa”.

Da anni, ormai, a Washington si cercava di scrivere un approccio onnicomprensivo alla sfida cinese. Questo report può essere la risposta. “Questo documento delinea un percorso di competizione con la Cina e gli altri avversari per sfruttare tutti gli strumenti disponibili per gli Stati Uniti”, ha spiegato il senatore repubblicano Jim Inhofe, presidente del comitato Servizi armati del Senato. “Un approccio whole-of-government non è solo necessario per competere efficacemente con la Cina; è anche un promemoria che proprio come la nostra sicurezza, la nostra prosperità e i valori che condividiamo con alleati e partner sono messi in gioco in questa competizione”.

Il focus del documento è la regione indo-pacifica ma in realtà il CNAS offre una visione a 360 gradi. Per accorgersene basta leggere la dichiarazione dell’amministratore delegatole del Centro, Richard Fontaine: “Lo studio si concentra sul rafforzamento della competitività americana nell’Indo-Pacifico attraverso una serie di questioni critiche, tra cui economia, tecnologia, diplomazia, difesa, ideologia, capitale umano e altro ancora”. C’è il particolare della regione tropicale, certo. Ma c’è anche, e soprattutto, il generale della sfida tra Washington e Pechino.

E chissà che il presidente Donald Trump non cambi ancora una volta idea sul multilateralismo. Dopo averlo molto criticato, infatti, sembra, almeno alle Nazioni Unite, deciso a prenderlo di petto. In questo senso va letta la mossa di nominare un inviato speciale Usa per arginare la Cina all’Onu. E in questo senso va letto l’appello del CNAS all’approccio multidisciplinare che potrebbe essere nelle corde di un’eventuale seconda amministrazione Trump.

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