Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Vi spiego come gli Usa guardano a Roma (al Vaticano, però). Parla il prof. Parsi

Ieri a Formiche.net Francis Rooney, deputato della Florida ed ex ambasciatore statunitense presso la Santa Sede, ha spiegato che l’incontro tra Mike Pence e papa Francesco sia “una notizia importante per il ticket Trump-Pence” in vista delle elezioni presidenziali di novembre. I rapporti tra Stati Uniti e Vaticano e il legame Roma-Washington letto da Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica di Milano.

Persi, secondo lei è stato solo questo o qualcosa di più?

Siamo in aperta campagna per le presidenziali, basti pensare alla partecipazione del presidente Donald Trump alla Marcia per la vita, cosa che non era mai capitata visto che i suoi predecessori, anche quelli conservatori, hanno sempre avuto una certa attenzione a non parteggiare in maniera eccessivamente evidente per questa o quella setta religiosa. C’è un forte spostamento, anche rispetto alla posizione trumpiana di quattro anni fa, verso un conservatorismo più spinto, anche in ambito cattolico. Certo, Papa Francesco è su una serie di posizioni non allineato con il presidente, pensiamo ai migranti e al muro – l’ossessione di Trump – ma anche a questioni strategiche come le relazioni con la Cina.

Questo è un punto che divide ancora Vaticano e Stati Uniti?

Abbastanza. Bergoglio è molto aperturista verso Pechino: ha trovato un accordo sui vescovi, un’annosa questione che si trascinava da tempo; non è stato molto attento alle proteste di Hong Kong, non le ha particolarmente protette e citate nei suoi discorsi. Gli americani vedono invece sempre di più nella Cina un competitor strategico, non solo commerciale ma anche in termini di potenza, soprattutto in quegli ambiti in cui l’innovazione tecnologica e le forme della competizione strategica si incrociano come le telecomunicazioni e l’aerospazio.

La visita a Roma del vicepresidente Pence è sembrata più focalizzata sul Vaticano che sull’Italia.

Questo è inevitabile. Il Vaticano è un punto di riferimento per tutti i cattolici del mondo e nell’elettorato americano cattolico la percentuale di conservatori è probabilmente più elevata di quella dei liberali perché in generale gli americani sono più conservatori degli europei in questi anni. Per cui, anche i cattolici americani sono più conservatori di quelli italiani ed europei.

Il presidente Trump a Davos ha parlato di un costruire un capitalismo che funzioni meglio. Poi la visita del vicepresidente Pence, che sembra segnare un cambio di passo dell’amministrazione. È semplicemente una strategia “centrista” tipica dei presidenti a caccia di una riconferma alla Casa Bianca?

Teniamo presente che nella Rust Belt le condizioni dei lavoratori che hanno votato il presidente Trump sostanzialmente non sono cambiate (è vero che c’è meno disoccupazione ma c’è cattivo lavoro che ha sostituto lavoro buono). E che si vede una deriva sempre più sbilanciata nei rapporti tra capitale e lavoro all’interno capitalismo americano in particolare e più in generale nel capitalismo globalizzato. Per questo Trump ha questo problema, classico dei populisti, tra proporsi come il paladino contro la globalizzazione finanziaria ed essere anche quello che minaccia ritorsioni se verranno messe tasse sulle grandi compagnie del Web americane, che non ha alzato le tasse a più ricchi, che non ha migliorato le condizione delle classi più povere del Paese. Parlare di un capitalismo più inclusivo non è molto diverso dal conservatorismo caritatevole di George W. Bush: sono pannicelli caldi. Rimane un presidente di destra che mentre è stra-amico dei grandi interessi finanziari, dall’altra parte cerca e riesce a reclutare i ceti più colpiti dalla globalizzazione promettendo la vecchia teoria economica del trickle-down.

Dicevamo dell’Italia.

L’Italia è un alleato di importanza relativa perché l’Europa è un continente che Trump vede sempre meno come un alleato cruciale. L’Italia può avere un qualche peso per ridurre l’eventuale protagonismo francese o tedesco. Ma questo in questa fase nel Mediterraneo è zoppicante o addirittura non c’è. E gli italiani chiedono aiuto per la Libia e gli americani di fatto non lo concederanno.

Lei è convinto che non ci sarà un riavvicinamento Roma-Washington sulla Libia?

Roma e Washington sono già vicine sulla Libia, ma a parole. Anche perché per ora Washington non sta reagendo alla prospettiva della penetrazione russo-turca in Libia. In caso di minaccia sostanziale credo l’America reagirebbe ma nella fase attuale sta a guardare che succede. Inoltre, se dovesse reagire nei confronti di Russia e Turchia non è detto che le modalità debbano necessariamente contemplare soluzioni vantaggiose per l’Italia. Il nostro Paese, per problemi di sistema ed economici, negli anni sta facendo sempre più fatica a attrarre sostegni significativi. 

Perché gli Usa quasi ignorano l’Europa?

L’amministrazione Trump considera l’Europa da un lato ignavia e scroccona, che consuma sicurezza senza offrirne, e dall’altro resistente ai desiderata degli Stati Uniti. Questo bilancio sta facendo inclinare la percezione americana dell’Europa da una parte come un competitor su tanti campi che alla fine si avvantaggia della protezione americana, potendo quindi risparmiare per poter investire in altri settori, e dall’altra parte come un alleato riottoso e nemmeno particolarmente utile per confrontarsi con la Russia e con la Cina.

Per questo l’attenzione del vicepresidente Pence è stata rivolta soprattutto al Vaticano?

Con l’Italia non c’è grande attrito. C’è sì la questione del 5G e quella della Via della seta che gli americani non hanno gradito. Ma gli Stati Uniti in questa fase pensano ancora che gli italiani non abbiano capito fino in fondo le conseguenze di certe scelte e quindi spiegandogliele si possano ancora ricondurre all’ovile. Né ci sono grandi tensioni con i due governi che si sono succeduti in questi ultimi due anni. Con il Vaticano, invece, qualche dissapore in più c’è, ci sono visioni distinte. Però da un lato Trump ha bisogno di non avere un Bergoglio ostile nei suoi confronti e dall’altro la Santa Sede non vuole rompere i rapporti con gli Stati Uniti, perché la Chiesa americana è ricca e complicata, e già colpita dallo scandalo degli abusi.

×

Iscriviti alla newsletter