Di solito, in politica come nella vita, le “svolte” si fanno e non si annunciano. O si annunciano nel mentre le si fanno. Nicola Zingaretti, per il Partito Democratico di cui è segretario, proclama invece una “svolta” da realizzarsi in futuro, un futuro prossimo ma pur sempre tale. In sostanza, la “rivoluzione” nel partito si farà, ma è rimandata a dopo le elezioni e a dopo aver convocato un congresso. E casomai, parafrasando Leo Longanesi, la si farà con l’autorizzazione dei carabinieri, cioè, in questo caso, dal vecchio gruppo dirigente di cui Zingaretti, bravissima persona fra l’altro, è espressione compiuta.
Già l’elemento temporale, chiamiamolo così, induce ad essere perciò cauti sui propositi di “cambiamento” espressi dal leader piddino nella conversazione con Massimo Giannini uscita stamane su Repubblica. Non sorprende poi che i dettagli del cambiamento che emergono sembrino ancora del tutto evanescenti, poco chiari, e in ogni caso non tanto radicali da giustificare il titolo generoso che il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari spara in prima pagina: “Pd, cambio tutto”. Cambio di nome? Sembrerebbe di no, anche se Giannini lascia capire che potrebbe anche essere ma per ora è meglio non dirlo.
D’altronde, se cambia solo il nome ma non la sostanza, come altre volte è avvenuto, l’operazione che senso ha? Cambiamento di programma politico, del tipo ad esempio di quello che ha interessato la Lega che con Matteo Salvini da partito settentrionale e autonomista è diventato d’un colpo nazionale e “sovranista”? Nemmeno troppo, o quanto meno solo nella misura in cui si includerebbe qualche nuova tematica, ad esempio quella ambientalista, al solito paniere di proposte progressiste. Un cambio di uomini? Sembrerebbe questo proprio di sì, anche a livello organizzativo: “Dobbiamo aprirci – dice Zingaretti – alla società e ai movimenti che stanno riempiendo le piazze in queste settimane. Non voglio lanciare un’opa sulle sardine, ci mancherebbe altro, rispetto la loro autonomia: ma voglio offrire un approdo a chi non ce l’ha…”. Il che, in verità, sembra un invito a candidarsi che forse viene incontro ai desideri veri di movimenti “fiancheggiatori”, come quello delle sardine, che nascono, così sembra a chi scrive, non spontaneamente ma per conquistare un posto al sole nella casa madre ai loro leaderini.
Quanto poi ai movimenti veramente spontanei, tipo quelli verdi, essi, come l’esperienza di altri Paesi attesta, difficilmente si accasano nei partiti classici eredi della tradizione socialista. Con i quali entrano anzi in aperta concorrenza. Essi fra l’altro fanno propria un’ideologia che ha anche una evidente componente “populista” e postmoderna che trova nelle nuove forme della comunicazione politica il complemento della mobilitazione in piazza o tradizionale. Di tutto questo, nell’intervista a Zingaretti, non c’è traccia. L’impressione è allora quella di un “partito appesantito”, non al passo coi tempi o che comunque vorrebbe portare a sé e metabolizzare i cambiamenti che vengono dalla società. Un “partito di lotta e di governo”, o del “vorrei, ma non posso”. In ogni caso, un partito che non sembra adatto a quelle scelte rapide e incisive che la politica oggi richiede.