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Il bilancio europeo, la difesa comune e l’ipotesi di una sponda francese

“Il bilancio attuale non ci piace”. Non usa mezzi termini il ministro per gli Affari europei Enzo Amendola per chiarire la posizione italiana sui duri negoziati in corso a Bruxelles per il prossimo quadro finanziario pluriennale (2021-2027) dell’Unione europea. In visita agli stabilimenti di Leonardo a Pomigliano d’Arco con i colleghi Luigi Di Maio, Gaetano Manfredi e Stefano Patuanelli, Amendola ha fatto il punto dopo la fumata nera del Consiglio europeo della scorsa settimana. Un punto arrivato all’indomani del vertice intergovernativo con la Francia a Napoli, dove pare essersi delineata la possibilità che Parigi (per ora un po’ fuori dagli schieramenti sul budget comunitario) offra la sponda giusta per fare massa critica a Bruxelles, soprattutto sui temi della Difesa.

LE PAROLE DI AMENDOLA

La proposta attuale “non ci piace”, ha detto Amendola, che guida lo sforzo negoziale italiano. Siamo intorno ai mille miliardi di euro per i prossimi sette anni, “pochissimi” per il ministro italiano. A non piacere è però soprattutto la loro allocazione. “Vogliamo che siano fondi di coesione per far crescere le imprese e fondi sull’agricoltura (che significa anche Green new deal), e poi che ci siano scelte semplici per un piccolo gigante gentile, l’Unione europea, tra tanti giganti che hanno già mostrato i muscoli”. L’ultimo riferimento riguarda i finanziamenti al digitale e ai programmi che puntano ad accrescere il peso geopolitico del Vecchio continente, Difesa comune in testa. “Non riguarda solo gli assetti militari, ma vuol dire anche ricerca scientifica e crescita per il Paese”. Su tutto questo “stiamo trattando, ma non sarà facile”, ha detto Amendola.

INTERESSI A CONFRONTO

Aiuterà sicuramente l’intesa con altri Paesi, in una situazione che vede sostanzialmente contrapposti due schieramenti. Dietro una barricata si trovano i cosiddetti “quattro frugali”, Olanda, Austria, Danimarca e Svezia, con il velato appoggio della Germania. Puntano a contenere il bilancio sotto l’1% del Pil complessivo, mantenendo il “rebate” (rimborso per i contributori netti al budget comune) e riducendo le risorse per agricoltura e coesione, cioè i principali strumenti della politica degli investimenti dell’Ue finalizzati a favorire crescita economica e occupazionale degli Stati membri, a partire dalla regioni in maggiore difficoltà. Alla barricata opposta ci sono gli “amici della coesione”, quindici Paesi tra cui spiccano Italia, Spagna e Portogallo.

PROPOSTE A CONFRONTO

Il confronto è esploso a Bruxelles la scorsa settimana. Chi ha seguito i lavori del Consiglio europeo racconta dei negoziati più difficili di sempre, tra sessioni plenarie, bilaterali e una marea di vertici ristretti. Il punto di partenza era offerto dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, una proposta presentata il 14 febbraio (insieme alla lettera d’invito ai capi di Stato e di governo) frutto di diversi mesi di negoziati condotti nell’ambito del Consiglio affari generali. Una bozza da 1.095 miliardi che si basava soprattutto sul box predisposto lo scorso semestre dalla presidenza finlandese, decisamente al ribasso (1.087 miliardi) rispetto a quanto proposto dalla Commissione europea all’inizio dell’iter (1.134 miliardi).

IL RUOLO DELLA COMMISSIONE

A dare prova della difficoltà riscontrata a Bruxelles è stato comunque proprio l’organo esecutivo comunitario, che nella seconda giornata del vertice ha tentato il compromesso in zona cesarini, con un “non paper” che proponeva un aumento delle risorse per la politica agricola e il contestuale mantenimento del rebate, con un budget complessivo (qui il paradosso rispetto a quanto fatto fino ad allora dalla Commissione) inferiore a quello proposto da Michel. Una bozza rifiutata dagli “amici della coesione”, con il mandato a Italia, Romania e Portogallo per una proposta alternativa. Al margine del grande dibattito sono rimasti i temi della Difesa e dello Spazio, che pure rischiano di vedere pesantemente ridimensionate le risorse attese.

RISCHI CONCRETI

Basti considerare che il “non paper” della Commissione prevedeva una riduzione da 900 milioni per il Fondo europeo di Difesa (Edf) rispetto ai 7 miliardi proposti da Michel, che già rappresentavano però un dimezzamento dei 13 proposti dalla stessa Commissione sin dal giugno del 2018. Ancora più strano il destino della “Connecting Europe facility”, strumento ideato per incrementare la mobilità militare nel Vecchio continente, punto caro anche alla Nato. La proposta iniziale era per 6,5 miliardi. Sono diventati 2,5 nel box finlandese; 1,5 nella proposta di Michel, per poi scomparire del tutto nel “non paper” della Commissione.

IL VALORE DELL’EDF

Ci sarà tempo per lavorare nelle prossime settimane, con l’auspicio di una generale marcia indietro per tornare all’iniziale livello d’ambizione. L’Edf d’altra parte è pensato soprattutto con la formula del co-finanziamento, utile a generare investimenti a cascata da parte degli Stati membri (soprattutto a quelli, come l’Italia, che faticano ad aumentare i budget nazionali per la Difesa). Certo, non tutto è ancora chiaro, a partire dalla piena possibilità di accesso ai finanziamenti per le aziende stabilite in Europa, ma di proprietà extra-Ue. In ogni caso, il primo punto è chiarire il livello di risorse, e per l’Italia è importante che sia alto.

UNA SPONDA DA PARIGI?

La sponda giusta potrebbe arrivare da Parigi. L’intesa siglata ieri a Napoli da Emmanuel Macron e Giuseppe Conte è piena di riferimenti alla Difesa comune. Il presidente francese è stato inoltre, la scorsa settimana, tra i pochissimi a elencare tra le proprie priorità durante i negoziati di Bruxelles un aumento delle risorse per la Difesa. È vero che Parigi non ha mai nascosto l’intenzione di guidare il processo, prendendosi nella Commissione targata Ursula von der Leyen la casella al Mercato interno con responsabilità sulla nuova direzione generale Difesa, industria e spazio (che gestirà l’Edf), e aderendo a trenta tra i 47 progetti finora approvati della Pesco (l’Italia sta a 24). Ciò non significa però che non possa trovarsi un allineamento per avere più forza in ambito negoziale.

COSA DICE IL PATTO DI NAPOLI

In tal senso si possono leggere i numerosi riferimenti del Patto di Napoli alla Difesa europea. “È essenziale – si legge nella dichiarazione congiunta – che l’Unione europea diventi a tutti gli effetti un attore globale che si esprima in maniera unitaria, tempestiva e concreta sulle questioni internazionali”. Per questo, “Italia e Francia rafforzeranno il coordinamento” sulle varie iniziative, dall’Edf alla Pesco. Fondamentale l’inciso presente nel documento: “In piena complementarietà con la Nato”. D’altra parte, Parigi punta a un’Europa più forte (a trazione francese) e indipendente rispetto agli Stati Uniti. La visione italiana (ribadita ieri dal ministro Lorenzo Guerini) è differente. Bene il possibile allineamento sul bilancio Ue dunque, ma che non diventi appiattimento strategico.


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