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Cosa c’è in gioco alle presidenziali Usa. L’analisi di Teodori

Perché al suo primo dibattito pubblico a Las Vegas, Michael Bloomberg è stato pesantemente attaccato dagli altri candidati in corsa per la nomination democratica? Bernie Sanders lo ha accusato di aver discriminato da sindaco di New York gli afroamericani e i latinos; Elizabeth Warren d’essere un miliardario sessista; e Joe Biden di avere criticato la sanità dell’Obamacare.

Gli attacchi dei concorrenti democratici sono un chiaro indice che Bloomberg può divenire un forte candidato della corrente moderata-liberal che nell’insieme (Biden, Pete Buttigieg, Amy Klobuchar) sta raccogliendo maggiori consensi dei radicali (Sanders e Warren).

Anche nel confronto finale con Donald Trump, l’ex sindaco di New York è considerato un candidato che prevale per molti punti sul repubblicano. Questa è il motivo per cui anche l’attuale inquilino della Casa Bianca ha spostato i suoi attacchi da Biden, in fase calante, a Bloomberg, ormai considerato il suo più pericoloso avversario.

Certo, Bloomberg è un supermiliardario ed è sceso in campo con le sue sterminate risorse finanziarie. Tuttavia, per comprendere che cos’è in gioco nelle più importanti presidenziali Usa del secondo dopoguerra con il confronto tra il populismo sciovinista e la liberal-democrazia capitalista, è bene tenere presente altri elementi oltre quello miliardario.

Bloomberg è un capitalista liberal che si è impegnato, nel caso di elezione, a vendere tutte le sue società in modo da non entrare in conflitto di interesse; che ha promesso di mettere il suo denaro a disposizione di qualsiasi altro candidato riceverà la nomination democratica; e che è l’unico a combattere a viso aperto per il controllo delle armi, un tema sensibile per gli americani su cui la maggiore lobby del Paese, la National Rifle Association (Nra), ha condizionato le elezioni di ogni ordine.

È bene ricordare che i fattori trainanti della politica così come dell’intera storia americana sono sempre stati la democrazia, il liberalismo e il libero mercato fondato sul capitalismo, con l’accentuazione di volta in volta di uno dei tre termini.

Di presidenti ricchi e ricchissimi ce ne sono stati molti, tra cui colui che è ritenuto il più “progressista” degli ultimi 70 anni, John Fitzgerald Kennedy. Il quale fu eletto grazie alla ricchezza “sporca” di suo padre, e a sua volta si giovò della mobilitazione di ambienti poco raccomandabili, probabilmente coinvolti nel suo assassinio. Questo non sembra essere il caso del miliardario d’oggi.

Se la questione in ballo nel 2020 è battere Trump e riportare gli Stati Uniti nel solco della tradizione democratico-liberale, forse Bloomberg è il candidato più qualificato a raccogliere quel voto intermedio che fa la differenza.

(Articolo pubblicato su Affarinternazionali)



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