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Chevron aumenta la produzione di petrolio in Venezuela (nonostante le sanzioni Usa)

Le entrate del regime in Venezuela stanno aumentando grazie alla produzione di petrolio, frutto di un importante progetto della compagnia Chevron. Un progetto, secondo l’agenzia Bloomberg, che svela l’inefficacia delle sanzioni internazionali per fare pressione contro Nicolás Maduro. Ma gli Stati Uniti non demordono e starebbero mettendo a punto nuove misure contro la compagnia petrolifera russa Rosneft, per incidere in qualche modo sull’operatività di Chevron e di altre compagnie del settore.

La scelta produttiva di Chevron – che ha la concessione fino ad aprile – sta contribuendo all’aumento della produzione di greggio del Venezuela e al contempo ferma l’espansione di Russia e Cina nel Paese sudamericano. L’azienda americana resta così l’unica compagnia petrolifera statunitense in un Paese con una riserva incredibile di greggio: 302,8 miliardi di barili al giorno. Il tutto in un momento storico delicato: dal 2019 il Venezuela ha visto calare la propria produzione di circa il 74%, con 792.000 barili al giorno secondo l’ultimo report dell’Organizzazione di Paesi Esportatori di Petrolio.

Chevron non sarebbe l’unica compagnia americana a voler continuare ad operare sul territorio venezuelano. Ali Rahman, direttore dell’Erepla Services Llc, ha dichiarato a Bloomberg che l’azienda stava cercando una deroga simile a quella di Chevron, ma non ha ottenuto il consenso da Washington: “Questa è una politica di America Last […] Le sanzioni hanno danneggiato gli interessi commerciali americani – oltre alle poche licenze concesse selezionate – più di chiunque altro”.

Ray Fohr, portavoce della Chevron, ha confermato che sono focalizzati sulle attività in Venezuela, conforme alla legge. Chevron ha contribuito a ripristinare la produzione presso Petropiar, che gestisce un progetto congiunto con Petróleos de Venezuela (Pdvsa). “Sulla carta, Pdvsa controlla Petropiar come proprietario di maggioranza – si legge su Bloomberg -, ma Chevron ha mantenuto il flusso di petrolio e ha contribuito a riparare le strutture industriali necessarie per raffinare il catrame in greggio commerciabile”.

Anche il quotidiano The New York Times monitora le attività di Chevron in Venezuela, sostenendo che è diventato il più grande produttore straniero di greggio venezuelano nonché fattore determinante nella stabilità degli ultimi mesi. Le quattro compagnie in cui Chevron ha partecipazioni producono 160 mila barili al giorno. Un funzionario dell’amministrazione di Donald Trump ha dichiarato che le attività di Chevron in Venezuela e di altre aziende sono “chiaramente preoccupanti”.

Il governo americano però ha dato alla Chevron alcune concessioni, nonostante le sanzioni. Fohr ha spiegato che “se Chevron è costretta a lasciare il Venezuela, le imprese non americane riempiranno il vuoto e continuerà la produzione di petrolio”. Dopo una decade di dominio assoluto – contraddistinto da una storica nazionalizzazione dell’industria petrolifera – il governo venezuelano sta consegnando il controllo della produzione alle compagnie petrolifere internazionali per cercare di far quadrare i conti economici.

Pdvsa è rimasta una holding che riceve fondi pubblici, mentre le scelte strategiche restano ai soci privati. Sono le imprese private straniere a compiere l’estrazione del greggio, organizzare le esportazioni, pagare i lavoratori e acquistare materiali. Secondo Rafael Ramírez, ex presidente di Pdvsa, in Venezuela è in atto una privatizzazione silenziosa del petrolio. Un’operazione (di carattere anche geopolitico, non solo economico) guidata da Manuel Quevedo, membro delle Forze Armate, oggi presidente di Pdvsa (senza alcuna esperienza nel settore). Quevedo ha abbandonato la retorica nazionalista, lasciando spazio a compagnie come Chevron, ma soprattutto alla Rosneft, che negli ultimi anni ha venduto circa due terzi del petrolio venezuelano. Ma negli ultimi mesi, secondo NYT, anche l’italiana Eni hanno esportato direttamente petrolio venezuelano.

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