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La civiltà dei cattolici e la politica. Il commento di Pisicchio

Di quando in quando fa capolino nell’agenda delle idee politiche in sonno, la questione della reunion sotto uno stesso cielo delle anime disperse della cattolicità. Nel catalogo dei viventi, infatti, manca una “casa bianca” nel senso della tinta che una volta si addiceva alla balena, ma anche intesa come ancoraggio sicuro per quel sentiment, che potrebbe ancora essere prevalente in questo Paese fratto e disamorato, alla ricerca di senso.

A ben vedere di idee forti in giro c’è poco e niente a parte il pensiero (e l’azione) di Bergoglio, che, se non fosse che fa il Papa di mestiere (quello vero e non quello dei telefilm di Sorrentino), sarebbe un leader politico a tutto tondo tornito. Siccome, allora, il papa non può, pare legittimo pensare: “Perché non diamo un’ossatura a quel pensiero e ci facciamo un bel partito?”.

Il popolo in attesa messianica ci sta, il pensiero pure, lo spazio politico è grande come l’autostrada del sole e si muove in quell’area di centro orfana da quasi trent’anni della Dc, basta trovare il leader ed è fatta. Chissà se regge questa chiave in stile andreottiano (a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca sempre) per interpretare un certo presenzialismo del presidente Giuseppe Conte nelle occasioni salienti della Chiesa Cattolica, e nel rapporto ravvicinato con le gerarchie ecclesiastiche.

Da ultima la presentazione di due libri con titoli politicamente “squillanti”: “Essere Mediterranei” e “Fratellanza”, fatta dal segretario di Stato Vaticano monsignor Parolin, praticamente l’esegesi della filosofia bergogliana. Ora, è fuori dubbio che attingere buoni sentimenti e pensieri solidali da Santa Romana Chiesa risulti sempre un’attività meritevole che non può che portare giovamento a chi la intraprende, specie se sui suoi omeri si poggia qualche responsabilità pubblica. Tuttavia, se nel meritevole intento capitasse di mescolarsi anche qualcosa d’altro, tipo ricerca di accreditamento per mettersi in proprio facendo garrire bandiere politiche che inneggiano all’identità religiosa, forse risulterà utile chiarire qualcosa.

La Dc si è estinta e non ritornerà. Perché non ritornerà il muro di Berlino, la forma-partito del ‘900, il richiamo ideologico che disegnava uno spazio “centrista” ispirato da valori cristiani ma rigorosamente e orgogliosamente laico. Insomma, un altro mondo. L’errore dei democristiani “late comer”, ignari di che cos’era quel fenomeno unico e irripetibile nella storia politica italiana, è quello di immaginare che basti ostentare una contiguità con la Chiesa per prendere a piene mani i voti cattolici. Non esiste ed è anche politicamente sbagliato: non è sventolando rosari ai comizi o frequentando la Curia che si può conquistare l’elettorato.

Perché, se non è potuto esistere un partito cattolico ai tempi della Prima Repubblica, quando fortissimo era il sentimento del popolo cristiano e capillari erano gli strumenti di penetrazione sociale della Chiesa, immaginarsi oggi, stagione di piena secolarizzazione, che ha alle spalle trent’anni di solitudine dagli affetti politici. Insomma: se qualcuno vuole fare qualcosa di utile alle ragioni del Centro (spazio necessario per ridare fiato ad un confronto politico che non sia quello belluino di oggi) si dia da fare sui contenuti e sulla forma non-violenta della politica. Cerchi, perché è giusto che sia, anche contenuti dal pensiero cristiano. Ma lavori coi fanti, e lasci stare i santi.

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