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Coronavirus, no a psicosi ma misure più stringenti. Parla Miani (Sima)

“La psicosi non serve mai a nessuno, ma con quello che sta succedendo in Lombardia e Veneto, con i primi morti accertati, si deve alzare ulteriormente la guardia. Se prima il coronavirus lo guardavamo dall’esterno, come fosse solo un problema della Cina, ora è arrivato in Italia e l’attenzione deve essere massima”. Intervistato da Formiche.net, usa un tono fermo Alessandro Miani, presidente della Società italiana di medicina ambientale (SIMA), convinto che occorrano adesso “misure ancora più stringenti, più dure, per affrontare questa emergenza”.

Quali esattamente?

Bisogna disporre che su tutti i voli in arrivo in Italia da qualunque destinazione estera si proceda a sottoporre ai passeggeri una scheda di raccolta dati in cui venga chiesto se si è stati in Cina nelle ultime tre settimane (come da molti decenni accade di prassi per l’accesso negli Usa senza che ciò sia giudicato come una violazione della privacy) e in caso di risposta positiva attivare la quarantena domiciliare obbligatoria.

Da quanto dice non è solo un problema di traffico aereo, bisognerebbe chiudere il Paese, in un certo senso?

Più che chiudere il Paese bisogna estendere queste misure anche ai passeggeri di navi, treni e bus in arrivo dall’estero, fin dall’ingresso nei porti o nelle stazioni ferroviarie. E chiedere a tutti i Paesi europei di area Schengen di adottare le stesse misure nell’immediato oppure ripristinare i controlli alle frontiere anche per le auto private e i camion, ai cui conducenti va richiesto per identificare chi si è recato in Cina nelle ultime tre settimane.

Non c’è il rischio di alimentare una paura eccessiva?

No, forse non ci rendiamo conto bene di quello che sta succedendo. Per questo bisogna prevedere anche delle pene severe in caso di dichiarazioni false o elusione della quarantena. Il problema va affrontato con determinazione e ad esempio noi siamo per bloccare l’accordo della Cina con la Regione Toscana per il rientro dei 2.500 cinesi a Prato o imporre una stringente quarantena di 21 giorni con sorveglianza sanitaria in caso di loro rientro in Italia.

Fino ad ora lo Spallanzani a Roma e il Sacco a Milano sono i centri per l’emergenza. Ma gli altri ospedali italiani sono attrezzati per questa emergenza?

Gli ospedali, le Asl, i centri medici hanno avuto già da tempo un vademecum su come affrontare un eventuale paziente sintomatico o asintomatico che si presenti presso di loro. Il problema è che oggi, laddove questo non fosse un piccolo focolaio, ma avere dei numeri diversi, non tutti gli ospedali sarebbero in grado di gestire questo tipo d’emergenza. Anche se il ministero della Sanità, le Regioni e le Asl si stanno attivando in questa direzione.

Lei pensa che il governo si sia mosso bene?

A mio parere sì, il ministro Speranza ha gestito al meglio delle possibilità la situazione e mi auguro che si continui su questa strada. La differenza rispetto a qualche giorno fa, è che oggi abbiamo un virus che sta circolando di sicuro in Lombardia e in Veneto, e non sappiamo se anche in altre parti d’Italia.

Insomma la situazione è fluida…

Lo è stata fin dall’inizio, in questo caso è ancora più fluida però abbiamo una differenza. Prima eravamo una nazione in cui il virus non circolava, oggi si può dire che non è più così. È un punto di vista completamente diverso e per questo non solo non bisogna abbassare la guardia, semmai va alzata ulteriormente. Con misure ancora più stringenti, con la salute non si scherza.

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