In questi giorni il sistema-Paese, come suol chiamarsi, sta dando il peggio di sé. Prima di tutto, il sistema politico. La diffusione del contagio del coronavirus non ha diminuito affatto il tasso di litigiosità fra le forze politiche e fra governo e opposizione, come sarebbe stato lecito aspettarsi, e le colpe sono equamente distribuite. Non si può infatti accusare di “sciacallaggio” o di “razzismo” chi, come hanno fatto le opposizioni, ha messo in guardia, fosse pure con toni a volte spiacevoli, sulla necessità di tenere sotto controllo gli ingressi nel nostro Paese nelle settimane scorse.
È chiaro che l’appello all’unità chiesto oggi dal governo finisca per suonare ipocrita o strumentale. Tanto più se si è in presenza di una incapacità di assumersi, per la propria parte, le responsabilità del caso, scaricando tutte le colpe su terzi e vantando primati in un momento in cui sarebbe più proficuo mettersi a lavorare con umiltà per contenere il contagio. L’opposizione, da parte sua, dovrebbe dimostrare ora tutta la sua maturità: continuare a esercitare la sua funzione di critica o “controllo del potere”, ma in un’ottica migliorativa e non rivendicativa alla “tanto peggio tanto meglio”. Anche aprire un fronte con le Regioni, soprattutto quelle più coinvolte e a trazione leghista, è stato un errore del governo che sarebbe stato meglio evitare (anche se poi c’è stato il tentativo di Giuseppe Conte di recuperare).
La diatriba Stato-regioni, e l’effettiva anarchia con cui le amministrazioni locali si stanno muovendo, dimostra poi la crisi non solo e non tanto del sistema politico, ma anche dello Stato come struttura: dell’amministrazione pubblica in tutte le sue sfaccettature, ormai sempre più incapace di muoversi in un’ottica di coordinamento e responsabilità generale. Manca solo che intervenga la magistratura e tutta la crisi italiana attuale ci si porrà davanti agli occhi nella sua drammaticità! Aver vantato qualche settimana fa di aver preso, unico Paese europeo, la più drastica delle decisioni, cioè aver interrotto i voli dalla Cina, si è rivelata per il governo un tragico boomerang. Ma anche una metafora dell’Italia di oggi, un Paese ove si prendono le decisioni non per incidere ma per creare un effetto mediatico! Siamo sicuri che le opposizioni, qualora fossero state al governo, non avrebbero agito ugualmente?
La comunicazione politica in Italia lascia oggi ristretti margini alla politica concreta o effettuale; e, d’altro canto, lo stesso sistema dell’informazione o mediatico è drogato e alla ricerca sempre e solo del sensazionale. Ne abbiamo prova in queste ore, casomai osservando come nel gioco si siano inseriti a pieno titolo anche gli scienziati. I quali, enfatizzati oltre il dovuto, litigano sugli schermi o sulle pagine dei giornali dividendosi in allarmisti e tranquillizzanti. Nell’uno e nell’altro caso, ca va sans dire, “in nome della scienza”. La quale induce i più alla facile retorica dell’ “ascoltiamo i competenti” o del “facciamo parlare la scienza”. Il che presupporrebbe, a mio avviso, una consapevolezza che non c’è, della differenza fra scienza e scienziati.
È vero infatti che la prima giunge ad acquisizioni di “verità”, per principio prima che di fatto. Tuttavia: 1) per arrivarci procede per tentativi e errori; 2) gli scienziati sono uomini come tutti gli altri, quindi anche vanagloriosi, narcisi, faziosi, persino interessati al profitto o ad altri aspetti materiali della vita. Va bene perciò la divulgazione scientifica, che nel nostro Paese è deficitaria, ma che senso ha enfatizzare il dibattito fra opinioni e ipotesi non ancora verificate e che in questa fase dividono gli uomini di scienza come tutti gli altri esseri umani? Scienziati che, in verità, dovrebbero essere loro per primi a fare un passo indietro e sottrarsi al “teatrino”.
Quindi: crisi politica, crisi dello Stato, crisi dell’informazione, crisi del dibattito pubblico…. In sostanza: il coronavirus non è solo un pericoloso agente patogeno, ma anche lo specchio in cui un’Italia divisa e senza bussola può facilmente specchiarsi.