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Da Bot people a investitori nell’economia reale? Serve educazione finanziaria. Parla Bufi (Anasf)

“Non possiamo pensare che da Bot people gli italiani improvvisamente si trasformino in investitori negli asset dell’economia reale: dalle infrastrutture al sostegno delle piccole e medie imprese. È un percorso lungo che va fatto con gradualità”. A parlare in quest’intervista a Formiche.net è Maurizio Bufi, presidente di Anasf, l’Associazione nazionale dei consulenti finanziari che da ieri e fino a domani – ne sono venuti all’Auditorium Parco della Musica di Roma oltre 2 mila – sono chiusi nel loro conclave, ConsulenTia 2020, l’appuntamento annuale più importante per il loro settore. Bufi ha ascoltato l’intervento di Roberto Gualtieri, “la prima volta di un ministro dell’Economia alla nostra convention” – dice orgoglioso – e si trova d’accordo nella sua analisi, soprattutto quando ha parlato della crescita che significa “canalizzare quel surplus di risparmio verso il deficit di investimenti”. “Va fatto con coscienza e con prudenza – sottolinea Bufi – perché non è facile orientare il blocco del risparmio. Gli italiani detengono oltre 1500 miliardi di liquidità, se venissero spostati gradualmente nell’economia reale si rimetterebbe in moto il Paese”.

Già e perché non lo si fa?

Perché ci vuole innanzitutto una cultura, un’educazione finanziaria che nel nostro Paese è ancora assai scarsa. Bisogna lavorare su questo aspetto. E poi l’Italia non ha un problema di capitali ma di redditi bassi, non siamo ancora riusciti a recuperare i livelli che avevamo prima della grande crisi del 2008.

Non è che gli italiani si fidano poco? Basta guardare ai disastri delle banche, da Etruria a Bari…

Certo c’è mancanza di fiducia nel futuro, se viene meno questa, viene meno tutto. C’è bisogno di una reazione corale, del sistema Paese, e anche il nostro ruolo può essere determinante perché come intermediari possiamo indirizzare al meglio gli investimenti degli italiani. Ancora oggi i risparmiatori giustificano la scelta di detenere liquidità sul conto corrente con non meglio identificati ‘motivi precauzionali’. Cosa significa? Che hanno incertezza verso il futuro. Ecco, noi, ma non solo noi ovviamente, dobbiamo fare in modo di restaurare la fiducia verso il futuro.

Ma c’è chi associa i disastri delle banche anche ai consulenti finanziari, come se ne esce?

Chi lo fa sbaglia, è esattamente il contrario. In tutte le categorie ci sono delle situazioni limite, ma l’indice di sinistrosità per quanto riguarda i consulenti finanziari è bassissimo, lo dimostrano i dati Consob. Poi c’è un tema di percezione su cui bisogna lavorare, noi offriamo delle raccomandazioni personalizzate agli investitori, siamo una sorta di garanzia dell’investimento.

Non si capisce allora di chi sia la colpa di tutti questi fallimenti bancari che hanno tradito i risparmiatori…

Guardi il legislatore ha introdotto una serie di norme a tutela dell’investitore, una su tutte la normativa Mifid che è stata implementata in tutti i paesi dell’Unione. Dopo di che le regole vanno applicate se non lo si fa si creano i presupposti di una cattiva gestione del risparmio.

Ma secondo lei c’è una cattiva gestione del risparmio in Italia?

Se guardiamo agli scandali bancari, assolutamente sì, è fuori da ogni discussione. Perché in questo caso la gestione dell’azienda bancaria è stata assolutamente dissoluta: il banchiere non ha saputo fare il banchiere, scaricando il rischio sulla clientela. Questo è avvenuto non solo in situazioni critiche ma anche in casi già compromessi, basti pensare ai collocamenti delle obbligazioni subordinate, a quello che è successo negli istituti veneti e adesso in Puglia. In più c’è un livello di cultura finanziaria degli italiani che è assai scarsa.

E magari convincere il popolo dei bot people a diventare investitori…

Il risparmio delle famiglie italiane è una ricchezza nazionale, parliamo di 4 mila miliardi di euro. Il patrimonio delle famiglie, comprese le imprese e l’immobiliare, raggiunge gli 11 mila miliardi. Come sono allocati? C’è un’eccessiva liquidità che palesa la paura a fare gli investimenti proprio per una mancanza di supporto e per l’incertezza di futuro. Si investe se si ha fiducia nel futuro e questa ancora non c’è.

La riforma dei Pir, i piani individuali di risparmio, promossa dal governo, aiuta?

Certamente va nella direzione giusta, perché ridiventano attrattivi sia dalla parte di chi colloca il prodotto che da chi lo acquista per i vantaggi fiscali. Detto questo, ripeto, bisogna lavorare all’educazione finanziaria degli italiani che magari vorrebbero tutto e subito ma non è così. Bisogna avere delle prospettive d’investimento di lungo periodo.

Si ma nel lungo periodo, presidente, un grande economista diceva che “saremo tutti morti”…

Eh sì era il pensiero di Keynes ma bisogna intendersi anche sul lungo periodo, altrimenti queste sono solo frasi fatte. I piani d’investimento devono abbracciare un ordine di grandezza che va dai 5 ai 10 anni, altrimenti parliamo di peanuts direbbero gli inglesi, ovvero di bruscolini, cioè del nulla. Questa è la vera educazione finanziaria che manca e che va spiegata bene ai risparmiatori.

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