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Berlino cede a Parigi. Al via lo sviluppo del caccia franco-tedesco

Berlino cede al fascino francese. Nonostante qualche settimana di ritardo e diverse perplessità, il Bundestag ha approvato ieri lo stanziamento di 77,5 milioni di euro (altrettanti ne mette la Francia) per il caccia di sesta generazione franco-tedesco, il Fcas. Copre 18 mesi di studio per arrivare a un dimostratore capace di volare nel giro di sei anni. All’appello manca la Spagna, che ha aderito al progetto, ma che resta al momento spettatrice (non senza qualche insofferenza) in attesa di definire il ruolo riservato al suo comparto industriale. Anche tra Parigi e Berlino non è comunque tutto rose e fiori.

IL PROGRAMMA

Con il via libera del Parlamento tedesco, i governi di Berlino e Parigi hanno assegnato il contratto relativo alla Phase1A alle due industrie di riferimento: la francese Dassault Aviation e il colosso Airbus. Coinvolti anche gli altri partner, la tedesca MTU Aero Engines e la transalpina Safran per la parte motoristica, MBDA per la missilistica e l’altro big francese Thales per i sistemi. Lavoreranno 18 mesi sullo sviluppo dei dimostratori e delle tecnologie per il velivolo del futuro con l’obiettivo di iniziare i test di volo nel 2026. L’esigenza operativa per la sostituzione di Rafale ed Eurofighter è fissata al 2040.

LA SUDDIVISIONE DEL LAVORO

Il contratto assegnato dai governi di Francia e Germania identifica cinque aree di studio per un assetto immaginato come “sistema di sistemi”, con un velivolo principale, droni e sistema di terra, il tutto connesso in rete. Dassault guiderà lo studio sul Next generation fighter (Ndf), il cuore del sistema, il velivolo principale a cui Airbus contribuirà in qualità di main partner. Sarà invece prime contractor (con MBDA main partner) per l’Unmanned systems Remote Carrier (Rc), cioè l’insieme degli assetti a pilotaggio remoto che si muoveranno insieme al velivolo principale. Airbus guiderà anche lo sviluppo dell’Air combat cloud (Acc) per la gestione in rete di tutto il sistema di sistemi, avvalendosi di Thales quale main partner. Sulla scia dell’intesa raggiunta già a inizio 2019, Safran e MTU lavoreranno invece sui motori. La quinta area riguarda l’ambiente di simulazione che verrà sviluppato “congiuntamente” dalle aziende coinvolte.

LA QUESTIONE SPAGNOLA

Restano fuori i sensori e le tecnologie stealth per la bassa osservabilità. I lavori su tali aree verranno definiti nella seconda metà del 2020, probabilmente per lasciare spazio all’industria spagnola. Nella nota rilasciata da Airbus si legge che la Spagna salirà a bordo della Phase1B, da avviare terminata la prima. Eppure, già a inizio febbraio, le indiscrezioni del quotidiano tedesco Handelsblatt sulla partenza a due avevano fatto emergere un certa insoddisfazione a Madrid. D’altra parte, un anno fa, annunciando l’intenzione di aderire al progetto, il ministro Margarita Robles aveva chiesto “uguaglianza di condizioni”. Secondo DefenseNews la partenza ritardata della partecipazione spagnola è da attribuire alle difficoltà riscontrate sul fronte negoziale sulle partecipazioni industriali. D’altra parte, l’impressione di una nuova frattura è emersa oggi con le parole del numero uno di Airbus Guillaume Faury. Presentando i risultati 2019 del Gruppo, ha definito “un errore” la scelta del governo spagnolo di presentare Indra come capofila dell’industria nazionale sull’Fcas, invitando l’esecutivo a un ripensamento (chiaramente a favore di Airbus, ben radicata nel Paese).

LA STORIA DEL PROGETTO

Eppure, è la storia stessa dell’Fcas a parlare franco-tedesco. Il progetto è nato nel luglio del 2017 con una prima intesa tra Emmanuel Macron e Angela Merkel. Ad aprile 2018, si aggiungevano l’unione di intenti tra Dassault e Airbus e l’assegnazione da parte della Difesa di Parigi del primo contratto a febbraio: 65 milioni di euro alle due aziende per la definizione dell’architettura generale e dell’organizzazione industriale del velivolo di nuova generazione. Nello stesso contesto arrivava la firma tra Safran e MTU per collaborare sui motori. A luglio 2019, dopo oltre sei mesi dalla manifestazione d’interesse spagnola, Emmanuel Macron accoglieva entusiasta l’ingresso ufficiale di Madrid nel progetto, Dassault e Airbus presentavano la proposta congiunta per la prima fase di sviluppo tecnologico dei dimostratori, la stessa che adesso prende il via.

NON TUTTO ROSE E FIORI

Anche tra Berlino e Parigi non è stato comunque tutto rose e fiori. Il contratto ufficializzato ieri è arrivato in ritardo di un paio di mesi rispetto al previsto, a causa dei dubbi sollevati nel dibattito al Bundestag sui finanziamenti. Proprio dal Parlamento tedesco sono arrivate negli ultimi anni le critiche maggiori al programma, soprattutto sul fronte dell’export, dove la linea francese (senza troppi peli sullo stomaco quando si tratta di vendere armi) si è spesso scontrata con la rigida cautela teutonica. Dubbi superati solo lo scorso ottobre, quando Macron e Merkel hanno firmato la dichiarazione di Tolosa (dove ha sede un grande sito di Airbus) contenente “un accordo giuridicamente vincolante sulle regole di controllo alle esportazioni di armi per programmi sviluppati congiuntamente”. Si citava esplicitamente il velivolo del futuro. Non è un caso che la prima a esultare per lo sblocco dei fondi da parte del Bundestag sia stata la ministra transalpina Florence Parly.

IL TEMPEST

Da notare comunque l’avanzamento di un progetto che per ora rimane alternativo al Tempest del Regno Unito, il programma a cui lo scorso settembre ha aderito l’Italia. Eppure, sin dal disvelamento a luglio 2018, il programma britanno era apparso più concreto di quello franco-tedesco, con un primo stanziamento da 2 miliardi di sterline fino al 2025 per il team industriale composto da Bae Systems, Leonardo Uk, MBDA e Rolls Royce. Ora si attende la definizione della partecipazione italiana. Dopo la dichiarazione d’intenti tra governi, a settembre è arrivato lo “statement of intent” per la collaborazione tra le aziende italiane (Leonardo, Elettronica, Avio Aero e MBDA Italia) e quelle britanniche.

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