Rispondo subito. Secondo me ha fatto male. Ma prima un riassuntino, per ricordarci come sono andate le cose. C’era una volta una legge, introdotta nel 1974 su proposta di Flaminio Piccoli, a seguito di alcuni scandali. L’obiettivo era rassicurare l’opinione pubblica che i partititi, sostentati dallo Stato, non sarebbero nuovamente incorsi in fenomeni di corruzione. Nel 1993, sulla scia di Tangentopoli, i Radicali promuovono un referendum per l’abrogazione del finanziamento e il 90% dei votanti si esprime a favore. Per la rubrica di Telos A&S Lobby Non Olet, abbiamo chiesto a Furio Garbagnati, CEO di Weber Shandwick Italia, come questa decisione degli italiani abbia influenzato l’attività di lobby. Guarda l’intervista.
Innanzitutto Garbagnati sgombra subito il campo da un enorme equivoco: tra le mansioni del lobbista non rientra quella di preoccuparsi di trovare denari per i partiti: “dobbiamo sottolineare, che chi fa lobby non si occupa di finanziamento, al limite si può occupare di creare quel consenso che possa poi portare a un finanziamento pubblico. Sono cose diverse che, secondo me, devono essere tenute completamente separate”. E anche secondo me sono attività che devono rimanere a distanza di sicurezza, perché sono due mestieri diversi e si rischiano commistioni che possono essere opache. Tuttavia è doveroso ammettere che il risultato dei referendum del 1993 ha influenzato il lobbying, perché, come afferma Garbagnati, “si sono persi alcuni paletti che erano molto chiari. Il proliferare di forme di finanziamento legittime, ma a mio parere meno trasparenti di quello che era il finanziamento pubblico dei partiti, parliamo di fondazioni di varia natura, ha comportato anche senz’altro un diverso atteggiamento da parte di chi svolge attività di lobby”.
Il mestiere del lobbista si presta a fantasiose interpretazioni, che vanno dal faccendiere, al procacciatore di appuntamenti con il politico di turno, fino al Mr Wolf-risolvo-problemi di tarantiniana memoria. In queste 50 sfumature di grigio, si inserisce anche quella del fundraiser. Personalmente ne deduco che, mio malgrado, mi sono trovata a svolgere una delle professioni più sopravvalutate che esistano. Mi sento in dovere di comunicarvi una triste verità. Il mestiere del lobbista è molto più banale di come lo dipingono. Stiamo davanti al computer, cerchiamo di orientarci tra gli atti parlamentari, governativi, ministeriali etc e di proporre soluzioni legislative ai problemi dei nostri clienti, ma solo quei problemi che hanno origine legislativa. Un mestiere un po’ da secchioni, spesso anche noioso: no finanziamento dei partiti, no scambio di favori, no party.