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Giorgia Meloni negli Usa? Pensando al governo. L’on. Lucaselli spiega perché

Di Ylenja Lucaselli

Il ruolo chiave di Giorgia Meloni nella “National Conservatism Conference” (inaugurerà i lavori il 3 febbraio) segna l’evoluzione in corso nella politica italiana in ottica internazionale. Qui, infatti, Fratelli d’Italia si colloca come perno mediterraneo di un conservatorismo contemporaneo che dall’esperienza di Donald Trump si aggancia a quella di Boris Johnson e arriva sino all’Ungheria di Orban.

L’ottica solidamente filo atlantica di Giorgia Meloni, peraltro, è confermata anche dall’agenda di appuntamenti che la vedrà impegnata negli Stati Uniti nei giorni immediatamente successivi, dove parteciperà al “National Prayer Breakfast”, evento che, di fatto, sancisce la solida interlocuzione della leader di Fratelli d’Italia con il mondo repubblicano.

Nell’era di una globalizzazione che, non governata da orientamenti etici ma abbandonata al vorticare del capitalismo, della preminenza della finanza sull’economia reale, il cambiamento passa attraverso un progetto politico che guardi alla sinergia tra forze in grado di esprimere valori comuni. La libertà in senso proprio (capace di preservare identità storiche e civili), un’economia che tenga conto della centralità della persona, così come insegnano i preziosi testi del compianto Michael Novak, e da ultimo il riconoscimento di quel collante culturale che ha consentito all’Occidente di abbracciare la democrazia e sconfiggere i totalitarismi del ‘900: l’eredità giudaico-cristiana.

L’ideologia del “multi”, professata dall’aggancio tra una sinistra tradizionale sempre alla ricerca di un modo per superare la crisi del marxismo e alcuni potentati sovranazionali, ha tentato di spianare tutto questo, nell’illusione dell’indistinto. Il pericolo è la degenerazione in società non riconoscibili, e per questo senza anima, la morte delle economie locali e la cancellazione di quelle peculiarità che ogni nazione ha costruito nei suoi millenni di storia.

Accettare questa sfida non significa “arretrare”, ma governare quei processi, a partire dall’innovazione tecnologica, che la contemporaneità ci sottopone. Fissando come criterio la centralità della persona. Per questo motivo il cammino in corso è di portata storica, attua una scelta chiara che, ci auguriamo presto, trasferiremo al governo del Paese.

Mettendo la parola fine, quindi, ad anni incolori dove la politica estera italiana si è contraddistinta per approcci confusi e troppe volte privi di una visione di prospettiva.

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