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L’Italia porta la Libia alla Nato. Le priorità

In un’agenda concentrata su Russia e Afghanistan, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha riportato alla Nato il dossier libico. Il primo strumento per stabilizzare la situazione è un embargo efficace di armi, e passa attraverso il potenziamento della missione Sophia dell’Unione europea rimettendo in campo la sua componente navale. Dalla seconda giornata del vertice a Bruxelles tra i ministri della Difesa sono comunque arrivati altri messaggi significativi. L’Alleanza è apparsa compatta sul rafforzamento della deterrenza nei confronti di Mosca e ben coordinata sulla linea da seguire in Afghanistan.

LA LIBIA…

Prioritario per l’Italia, il dossier libico ha toccato marginalmente il vertice. Vi ha fatto capolino ieri sera alla cena di lavoro con l’Alto rappresentante Josep Borrell, al debutto in una ministeriale dell’Alleanza Atlantica. È poi tornato sul tavolo questa mattina, rilanciato dal ministro Guerini che si è presentato alla due-giorni forte delle “positive rassicurazioni” ottenute a fine gennaio dal capo del Pentagono Mark Esper sull’appoggio degli Stati Uniti per portare tutti al rispetto di quanto deciso alla Conferenza di Berlino. L’Italia ha spiegato da tempo i passaggi da seguire: un embargo delle armi e un vero cessate-il-fuoco. Il primo è propedeutico al secondo.

…E IL POTENZIAMENTO DI SOPHIA

Per questo Guerini ha ribadito oggi l’esigenza di “rafforzare” l’operazione Sophia dell’Unione europea. “La nostra posizione è che si debba rimettere in campo la componente navale, e crediamo che se questi sono gli obiettivi condivisi da tutti, si possa arrivare a questo risultato”, ha detto Guerini dopo l’incontro con i colleghi dell’Alleanza. D’altra parte, ha aggiunto, “il tema è fondamentale per gli interessi strategici del nostro Paese, ma è un tema che riguarda anche la sicurezza dell’Europa e della nostra Alleanza”. Il messaggio si somma alle consuete richieste di Roma per una maggiore attenzione al fianco sud.

LA DETERRENZA

Oggi, però, a Bruxelles è stata soprattutto la giornata del fianco orientale. Dopo il focus mediorientale di ieri (con il via libera a potenziare la missione in Iraq), nell’agenda odierna predisposta dal segretario generale Jens Stoltenberg c’era al primo punto la deterrenza nei confronti della Russia di Vladimir Putin, con un occhio alle novità missilistiche di Mosca dopo la fine del Trattato Inf. Sul tema la Nato ha abbracciato da tempo la linea degli Stati Uniti, sia sull’attribuzione ai russi della responsabilità della fine dell’accordo, sia sul rafforzamento della postura a est, un’esigenza pressoché esistenziale per i membri orientali dell’Alleanza.

“UN PACCHETTO DI MISURE”

Dall’incontro di oggi sono arrivate poche novità oltre la conferma degli strumenti di cui la Nato già si è dotata a partire dal summit di Varsavia nel 2016. Stoltenberg ha parlato di “un nuovo pacchetto di misure” che comprenderebbe “l’adattamento della nostra pianificazione e delle esercitazioni esercitazione, nonché della nostra postura di difesa convenzionale, nucleare, aerea e missilistica”. “Non sarà una risposta specchio”, ha comunque assicurato il segretario generale, escludendo l’ipotesi di nuovi dispiegamenti di missili occidentali in Europa come ritorsione ai denunciati SSC-8 russi.

UNA FRASE PER MACRON?

“La Nato – ha poi aggiunto Stoltenberg – deve continuare a essere la piattaforma d’Europa e nord America per il dibattito sul controllo degli armamenti”. Una frase che è parsa anche un messaggio a Emmanuel Macron che solo la scorsa settimana apriva alla possibilità di discutere con i partner europei circa l’utilizzo della potenza nucleare francese per potenziare “l’autonomia strategica” del Vecchio continente. Le critiche sull’Alleanza Atlantica in “morte cerebrale” paiono insomma aver lasciato strascichi tra Parigi e Bruxelles (sponda Nato, chiaramente).

I BATTLEGROUP A EST…

Tra l’altro, ieri, in riunioni distinte, si erano già incontrati i quattro gruppi di Paesi per altrettanti battlegroup dispiegati tra Polonia e Repubbliche baltiche, punta di diamante della Enhanced Forward Presence (Efp) adottata per rassicurare tali Stati all’assertività dell’Orso russo. Sempre ieri, tra i vari bilaterali in programma, Guerini aveva incontrato l’omologo canadese Harjit Sajjan. Il Canada non solo partecipa alla Coalizione internazionale anti-Isis tra Siria e Iraq (dove gli interessi italiani sono elevati), ma è anche alla guida del battlegroup dispiegato in Lettonia per cui la Penisola dispiega un massimo di 166 militari.

…E L’AFGHANISTAN

Sono invece circa 800 le unità italiane in Afghanistan nell’ambito della missione Nato Resolute Support a cui, come di consueto, è stata dedicata una sessione dei lavori della ministeriale. Poche le novità a riguardo, se non la conferma della linea “in together, out together”, seguendo l’evoluzione dei negoziati di pace tra Stati Uniti e Talebani. È stato Esper dunque a illustrare i passi in avanti agli alleati, comunicando il raggiungimento dell’intesa su “una riduzione della violenza per sette giorni”. Per l’Italia, la priorità è la stabilità dell’Afghanistan, necessaria per raggiungere gli obiettivi di pacificazione e portare a termine una missione ormai entrata nel suo ventesimo anno. In tal senso, si punta anche a consolidare l’unione d’intenti tra i partecipanti alla missione, evitando che decisioni unilaterali di ritiro colgano gli altri impreparati. Due settimane fa, al Pentagono, Guerini aveva chiesto a Esper proprio questo. Viste le parole odierne del segretario americano, la linea sembra accettata: “Abbiamo detto tutti insieme che la migliore se non unica soluzione in Afghanistan è un accordo politico; penso che la pace meriti una chance”.

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