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Vi racconto la nuova sfida jihadista (dalla Siria alla Libia, fino all’Europa). L’analisi del gen. Preziosa

Di Pasquale Preziosa

L’Unione europea, la Libia e la Tunisia sono legate da un comune problema di sicurezza nazionale: il jihadismo in rientro dalla Siria. Già nel lontano maggio del 2013, un’analisi dell’Ispi riportava: “Negli ultimi mesi il fronte del jihad è sembrato ridefinirsi attraverso nuove direttrici: dall’Iraq alla Siria e da qui verso l’Egitto e la Libia, attraversando il deserto dell’Algeria e del Mali sino alla parte settentrionale della Nigeria”. La situazione non è cambiata, anzi è peggiorata dopo gli ultimi eventi siriani.

Secondo fonti del Maghreb vi è un “ritorno dei jihadisti tunisini che hanno combattuto in Siria”. Tale ritorno “sta aumentando la preoccupazione – dell’Italia e – della delegazione dell’Unione europea a Tunisi sotto la guida Patrice Bergamini”, ambasciatore dell’Ue in Tunisia”. Di più: “I diplomatici che seguono il tema, temono che i combattenti bi-nazionali o europei tornino in Europa attraverso la Tunisia”. In particolare, i jihadisti di origine francese che si sono arruolati nell’esercito libero siriano sarebbero quelli più numerosi e ciò sta suscitando maggiore preoccupazione, perché sottoposti, in passato, a una sorveglianza meno rigorosa rispetto ai membri dello Stato islamico.

Il problema si è acuito dopo l’invio da parte della Turchia di migliaia di combattenti siriani in Libia, da dove potevano facilmente entrare in Tunisia. Secondo Africa Intelligence, “si ritiene che alcuni abbiano già abbandonato e si siano uniti ai migranti clandestini che viaggiano in Italia via mare”. Il problema potrebbe quindi investire anche l’Italia. La fonte, pur non fornendo dati certi sugli eventi affidandosi a un generico “si ritiene”, apre un altro problema legato al cambio di leadership politica in Tunisia avvenuta lo scorso ottobre, con l’elezione a presidente di Kaies Saied al posto di Béji Caïd Essebsi. La Tunisia è stato sempre un Paese di riferimento per le migrazioni dal nord Africa e per le vicende libiche.

In effetti, dovrebbe esser noto che, nel passato come nel presente, la Tunisia rappresenta un campo neutro per le tribù libiche. Incontri, affari e altro vengono stabiliti in terra tunisina. Non è invece noto a molti che negli ospedali tunisini vengono curati molti libici che non trovano capacità mediche nel proprio Paese, ma questa prassi era già in uso anche ai tempi di Gheddafi.
Il problema dell’Unione europea, ora in Tunisia, è rappresentato dall’assenza di un riferimento per i problemi legati alla sicurezza nazionale. Con la partenza di Kamel Akrout, consigliere per la sicurezza nazionale di Béji Caïd Essebsi, è stato nominato quale sostituto Mohamed Salah Hamdi, il quale ha stabilito che ogni contatto estero debba passare dal ministero degli esteri tunisino. Purtroppo, il ministero degli esteri tunisino, riporta la fonte, non risponde più alle numerose note inviate dalla delegazione europea.

Con questo stallo nelle relazioni Ue-Tunisia non si potranno prendere i provvedimenti preventivi per arginare il fenomeno dei foreign fighter in rientro in Europa in forma clandestina. Questa vicenda testimonia ancora una volta che l’Unione europea senza il pilastro Difesa, che presuppone la capacità intelligence, non produrrà alcun frutto per la sicurezza delle nazioni: rischierà l’irrilevanza.

In vero, la nuova missione navale di embargo delle armi verso la Libia, stabilita in ambito Ue rischia di non trovare interlocutori in Tunisia. Peraltro, il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov, ha ribadito da Roma all’Unione europea di “non intraprendere azioni (per la Libia) che potrebbero essere viste contraddittorie rispetto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu”, sminuendo di fatto la portata delle decisioni Uesulla missione per la Libia. Alla nuova missione europea per l’embargo delle armi alla Libia, si oppongono anche i libici di Tripoli perché “colpirebbe” solo il Governo di accordo nazionale (Gna), peraltro sostenuto dall’Onu e dall’Italia.

In più, l’Ue appare isolata nelle sue iniziative anche perché gli Stati Uniti hanno mostrato, già dalla conferenza di Berlino, una posizione defilata rispetto a quanto sta accadendo su Tripoli. Washington preferisce proseguire la cooperazione militare con la Tunisia, con nuove esercitazioni congiunte previste all’inizio del 2020 (Africa Lion) e, soprattutto, col lancio di un nuovo programma di sorveglianza delle frontiere, questa volta gestito dal dipartimento di Giustizia americano (DoJ).

Il 24 ottobre, il dipartimento di Stato ha lanciato un invito a presentare manifestazioni di interesse nell’ambito del suo programma internazionale di assistenza alla formazione investigativa criminale (Icitap-justice.com, 40 missioni nel mondo) per l’acquisizione di tre o quattro aerostati fissi di sorveglianza per l’antiterrorismo, in particolare lungo i confini libici e algerini. Il fatto che sarà gestito dal DoJ significherà che non sarà necessario rivolgersi al fondo di assistenza militare assegnato alla Tunisia dal Pentagono. Il fondo è stato praticamente esaurito con l’acquisto di elicotteri Black Hawk e Kiowa per 338 milioni di dollari.

Inoltre, il dipartimento di Stato americano ha dato “luce verde” per la vendita di dodici Texan t-6C per il training dei piloti dell’aeronautica tunisina con l’aggiunta di parti di ricambio per un valore di 234 milioni di dollari. Gli Stati Uniti investono dunque sul mantenimento della stabilità nell’area nordafricana seguendo lineamenti di politica accompagnati da aiuti concreti ai Paesi che necessitano di consolidare le loro politiche di difesa e sicurezza.

La Russia ha idee chiare sul futuro della Libia e persegue, dietro le quinte, i propri obiettivi di portare a casa almeno un altro punto di appoggio navale a Tobruk dopo Tartus in Siria per consolidare la propria presenza nel mediterraneo.

La Turchia difenderà con i denti la Zona economica esclusiva condivisa con la Libia di Serraj per ragioni di sicurezza energetica nazionale; tale strategia di espansione nel campo energetico ha preso piede anche in Somalia con la presenza di ingegneri petroliferi turchi a Mogadiscio, contrastati però sia dall’Arabia Saudita, sia dall’organizzazione terroristica Al Shabaab. La Turchia aspira a divenire protagonista regionale nel campo militare, commerciale e religioso.

La Francia e l’Italia, da essere i soli contendenti per le aspirazioni libiche, ora sono in disputa, ma senza speranza, con altri Paesi. La Libia è diventato un paese affollato da interessi geopolitici contrastanti, che difficilmente vedrà una soluzione condivisa nei prossimi anni. L’instabilità libica rappresenterà un grosso problema per l’Italia e per l’Europa, per i flussi migratori incontrollati e incontrollabili provenienti da quell’area che oggi rappresenta una porta aperta senza controllo, verso l’Europa.

Gli Stati Uniti, erroneamente, non mostrano più grande interesse a difendere l’Unione europea, anzi la ritengono una competitrice globale e quindi da combattere sul piano commerciale e monetario. Non sappiamo ancora quali problemi nasceranno per la Nato e quindi per i Paesi europei dopo le prossime elezioni Usa a novembre. La nuova missione Ue al largo della Cirenaica nasce, quindi, debole nei contenuti strategici e senza possibilità di incidere sul piano della stabilità regionale a causa del labile mandato ricevuto, inoltre trascura il problema del jihadismo che rappresenta la minaccia più rumorosa verso l’Europa.

Il documento “Strategia antiterrorismo dell’Unione europea” elaborato sulla scia dell’attentato di Madrid, basato su quattro pilastri più rivolti alla protezione dei cittadini Ue, al risarcimento delle vittime e ai coordinamenti tra i Paesi membri appare insufficiente per il contrasto al jihadismo ora alle frontiere. Senza una politica estera e di difesa comune, purtroppo l’Ue continuerà a essere irrilevante e le sue iniziative in campo militare continueranno a non produrre effetti concreti. Tale mancanza peraltro incide negativamente nei consessi internazionali quali l’Onu, dove l’Ue non è rappresentata nel Consiglio di sicurezza e quindi non può far valere gli interessi europei anche per quanto riguarda i problemi di sicurezza dell’Unione.

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