E’ uscito da qualche giorno “Breviario sul pensiero strategico. Discorsi e percorsi per conquistare il futuro migliore” di Emanuele Sacerdote, pubblicato da Editoriale Scientifica, collana PuntoOrg. Un saggio interessante di cui consiglio la lettura a manager, imprenditori e board member.
Emanuele Sacerdote è imprenditore, scrittore e docente. Ha iniziato la sua carriera presso le Agenzie di pubblicità per poi proseguire in varie aziende internazionali occupandosi prevalentemente di marketing strategico, di business development e di gestione d’impresa: Levi Strauss&Co, Autogrill, Ermenegildo Zegna, Ferrari Auto, Moleskine e Barbisio.
Dal 2011 ha iniziato ad occuparsi dell’Azienda della sua famiglia Strega Alberti Benevento.
Al percorso professionale ha abbinato la pubblicazione di saggi su temi business e l’insegnamento in Business School – Università Cattolica del Sacro Cuore, Fondazione ISTUD, Università IULM – su temi di retail e marketing.
Ha pubblicato: “Strategie retail nella moda e nel lusso”, “Travel retailing”, “Ritorno alla bottega”, “Aziende storiche operative e silenti” e “Retailization”.
Ho provato a sintetizzare cosa vuol dimostrare nel suo saggio Emanuele in questa breve intervista.
A che cosa serve il pensiero strategico in un’organizzazione?
La risposta dovrebbe essere scontata. Il pensiero strategico è metodo e dovrebbe essere alla base della pianificazione e della progettazione della strategia e dell’azione. Il suo scopo è ridurre il rischio d’impresa e l’obsolescenza generale, aumentare la sostenibilità e la longevità dell’impresa mettendo ordine e tracciando la via verso la destinazione migliore. Oggi siamo in un momento di forti cambiamenti sociali e di mercato e ritengo si debba cercare di guardare più lontano in modo più consapevole e oggettivo. A mio avviso bisognerebbe lavorare per fortificare il vantaggio competitivo con azioni progettate con maggior immaginazione di lungo periodo: più strategia e meno tattica.
Nel libro di Paolo Iacci, L’età del paradosso, ho trovato una frase emblematica che spiega bene la mia idea di pensiero strategico: “se siete in un ospedale per farvi curare non chiedete la cura più rapida ma quella più efficace”.
Qual è il primo passo da fare?
Tutte le aziende ovviamente generano il pensiero strategico. A mio avviso lo sviluppano, lo strutturano e lo analizzano poco. Alla base ci dovrebbe essere l’intenzione di promuovere un nuovo mindset più aperto e più libero – l’intelligenza strategica – che eleva il pensiero strategico ad un livello superiore. La forza dell’intelligenza strategica e di dare maggior impulso all’immaginazione, alla progettualità, alla consapevolezza, alla lungimiranza, alla mediazione e al rigore. In pratica si tratta di mescolare le competenze e le conoscenze di natura softskill con quelle di natura hardskill.
E poi?
Il pensiero strategico dovrebbe essere il padre dell’azione. L’obiettivo non è pensare ma agire con maggiore efficacia. Pensare è pre-strategia che si deve fondare su un’analisi di scenario più focalizzata alla definizione della destinazione (il futuro) migliore da raggiungere. Le prime due domanda a cui rispondere sono: dove siamo? e dove andiamo?
Poi vengono le altre domande di pianificazione strategica: che cosa manca? che cosa migliorare? che cosa sviluppare?
Per rispondere a queste domande bisogna fermarsi e pensare e strutturare un processo per andare dal pensiero all’azione. La sostenibilità e la longevità di un’organizzazione consistono nella loro capacità di poggiarsi sulla crescita organica, oppure la decrescita organica, e sullo sviluppo incrementale.
Quindi il punto di partenza è la consapevolezza?
Esattamente! Bisogna avere tanto ottimismo e positività, ma anche una buona dose di realismo per valutare meglio la situazione. Il punto di partenza è assumere un atteggiamento mentale più critico, più realistico, più responsabile e più cosciente della propria realtà e delle proprie possibilità. Ci vuole più realismo, ci vuole più capacità analitica e critica. Senza questa consapevolezza si rischia di vedere e di interpretare la situazione circostante con miopia o distorsione. Di contro anche il pessimismo difensivo oppure l’ottimismo euforico possono fare i loro danni. Quindi, meglio il realismo!
È il punto di arrivo?
Il punto di arrivo dovrebbe essere il futuro migliore, cioè la destinazione più ambiziosa, coerente, realizzabile, realistica e vantaggiosa che l’impresa può raggiungere. L’enunciazione del futuro migliore deve essere come una “TheBigPicture” che descrive l’identità, il ruolo, i discorsi, le persone, le risorse e le aree su cui investire e su cui lavorare nei prossimi cinque/dieci anni. Ecco questo è il compito concreto del pensiero strategico cercare di elevare il punto di vista ed essere la cinghia di trasmissione per attivare un processo più qualitativo, strutturato ed evolutivo.
Qualche esempio?
Sono stato invitato all’evento “Next Design Perspectives” di Altagamma e sentendo parlare l’ad di Gucci Marco Bizzarri ho avuto la sensazione che avesse molto ben chiaro il suo futuro migliore.
Diciamo che sentire parlare i leader delle aziende è sempre molto interessante, ma quello che maggiormente ti fa capire se hanno effettivamente chiara la loro strategia è il documento, il piano strategico quinquennale e per le aziende quotata i report non finanziari: non mi riferisco ai piani economico-finanziario mi riferisco ai documenti qualitativi nei quali è enunciata la strategia dei prossimi anni e argomentando come realizzarla, i conti vengono dopo.
Chi è il responsabile all’interno dell’azienda?
L’esecutore principale deve essere sicuramente l’amministratore delegato, ma ritengo che il consiglio di amministrazione debba essere il promotore e il gestore del processo. È mia opinione che il consiglio di amministrazione (specialmente delle aziende non quotate) dovrebbe assumere un ruolo più attivo nella determinazione della strategia dell’impresa e del ciclo strategico: molte volte alcuni consiglieri hanno giustamente più un ruolo di controllo piuttosto che di orientamento e di processo della strategia e alcuni consiglieri provengono poco dal business e più dalle professioni. Forse è il momento di inserire nei consigli di amministrazione più persone che provengono dal business e in relazione agli obiettivi di lungo periodo.