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Logica istituente

Roberto Esposito (Pensiero istituente. Tre paradigmi di ontologia politica, Einaudi, Torino 2020, p. XIX) tocca un punto decisivo: (…) la logica istituente manifesta una relazione profonda con la storicità dell’esperienza. Né de-creatio né creatio ex nihilo, il movimento dell’istituire è sempre creatio ex aliquo – tiene insieme origine e durata, innovazione e conservazione, funzionalizzando l’una al potenziamento dell’altra.

Il tema dirimente, quello che ci mostra se siamo ancora dentro l’idea totalitaria o se stiamo lavorando per uscirne, è l’essere immersi, o meno, nella storicità dell’esperienza. E’ quella, infatti, che ci mostra il “giusto” perimetro all’interno del quale muoverci da soggetti storici; non per chiuderci dentro ma, al contrario, per farci essere davvero realistici, ciò che siamo in ciò che siamo stati in ciò che diventiamo. In quel perimetro, infatti, poniamo la nostra storia all’interno di un mosaico complesso che ci comprende e ci supera.

In questa logica istituente, in un tempo cronologico e sentimentale e in uno spazio locale e globale, agiamo politicamente (a partire dalla mediazione). Generiamo politica, (ri)legando dimensioni della vita colpevolmente separate. Perché è in quella separazione che muore la politica e, con essa, gli spazi di “comune” che ci rendono progressivamente noi stessi, de-radicalizzandoci dalla nostra originalità e lasciandoci “differenti”.

Se l’essere differenti ci fa essere originali, è molto facile che l’originalità venga assolutizzata, addirittura dogmatizzata, portandoci nel campo della degenerazione della politica che, scrive Alberto Martinelli (Introduzione in Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino 2009, p. XIII), per la Arendt equivale a una depoliticizzazione del mondo contemporaneo, che ha contribuito all’emergere del totalitarismo, cioè del tipo di regime politico che è stato reso possibile dall’avvento della società di massa e che ha portato alle estreme conseguenze alcuni dei suoi mali.

Massa è chi si chiude, chi si nega all’esperienza, chi si lascia trascinare nell’a-politicità; agire politicamente significa, allora, maturare un pensiero e un giudizio che ci istituiscano, come soggetti storici e a partire dalla nostra esperienza, nella contraddittorietà complessa del “mosaico comune”, istituendolo e lavorando a formare un paradigma politico istituente.

(Professore incaricato di Istituzioni negli Stati e fra gli Stati, Link Campus University)

 

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