L’embargo di armi sulla Libia può essere una misura utile, ma non sarà risolutiva. Colpirà più Fayez al Serraj (il Gna si è già lamentato) di Khalifa Haftar, che può contare sui rifornimenti via terra dall’Egitto. Parola del generale Marco Bertolini, già comandante del Comando operativo di vertice interforze (Coi) e della Brigata paracadutisti Folgore. L’accordo politico all’unanimità è arrivato dal Consiglio dei ministri degli Esteri di ieri, a Bruxelles, presieduto dall’Alto rappresentante dell’Ue Josep Borrell. Determina la fine della missione Sophia tra qualche settimana e il conseguente avvio di una nuova missione con assetti aerei (droni compresi), navali e satellitari, concentrata sulle coste est del Paese per impedire l’arrivo di armamenti. Come ricordato da Luigi Di Maio, segue la linea dettata dall’Italia, che finalmente sembra far crescere la propria voce sul dossier libico.
Generale, si punta all’embargo di armi per garantire un cessate-il-fuoco efficace. È una visione corretta?
L’approccio mi sembra un po’ ideologico, basato sull’idea che siano le armi a creare le guerre e non le guerre a far acquistare le armi, così che, se si chiude il flusso di armamenti, la guerra si spegne automaticamente. Si dimentica però che in Ruanda ci furono tra Hutu e Tutsi 600mila morti con attrezzi agricoli e machete.
Impedire l’accesso di armi può comunque abbassare la tensione del conflitto.
Sicuramente può essere una misura utile, ma non sarà risolutiva. Non credo che Haftar abbia bisogno di ricorrere al contrabbando di armi per rifornirsi di ciò di cui ha bisogno. Ha già uno strapotere militare, almeno fino a quando la Turchia non aumenterà la propria presenza, sebbene al momento si stia impelagando su Idlib, in Siria. Penso che la missione abbia dunque più una finalità europea, atta a dimostrare che l’Europa non si rassegna alla proattività turca. Non credo che nelle cancellerie occidentali ci si possa illudere di bloccare la guerra impedendo il contrabbando di armi. C’è poi il problema turco.
Ci spieghi meglio.
Le armi non stanno arrivando solo ad Haftar. Serraj sta ricevendo aiuti non indifferenti dalla Turchia, armi e miliziani instradati verso Tripoli con ogni mezzo. Che farà la missione europea quando troverà nave battente bandiera turca (di un Paese della Nato, dunque) che trasporta armi? La fermerà o la riporterà indietro?
Comunque a Bruxelles è passata la linea italiana. Stiamo tornando ad avere peso sul dossier libico?
Spero di sì, anche se non so se una misura del genere possa significare che Italia stia facendo sentire la propria voce. È una proposta apparsa poco incisiva nei precedenti, e parliamo degli anni in cui abbiamo dispiegato con EuNavForMed una flotta europea davanti alle coste libiche. Riproporla adesso rappresenta il minimo sindacale per l’Europa, imbarazzata perché sta appoggiando Serraj che è appoggiato anche da Erdogan con i miliziani che in Siria erano alleati dell’Isis. A Bruxelles ci hanno dato retta, ma un obiettivo di questo tipo era quasi scontato, il minimo oltre il consueto appello per il rispetto del cessate-il-fuoco.
Tra l’altro, le prime critiche alla missione europea sono arrivate dal Governo di accordo nazionale guidato da Fayez al Serraj.
Certo. Il primo beneficiario dell’arrivo di armi in Libia è Serraj, non Haftar. Quest’ultimo è già abbastanza forte e può contare sull’appoggio dell’Egitto, da cui può arrivare qualsiasi cosa senza passare dal mare. Mettere in campo una cintura sanitaria aereo-navale colpisce soprattutto Serraj, e dunque non c’è dubbio che il Gna non sia contento.
Forse l’Europa ha voluto mandare prima di tutto un messaggio ad Ankara.
Ci può essere anche questo. Tuttavia, capire quello che succede con la Turchia è molto difficile. Ankara mantiene comportamenti ondivaghi, se non contraddittori, in Libia e in Siria. L’Europa sta ora cercando di dire ad Ankara “guarda che ci sono anche io” e “di me devi tenere conto”. Eppure, la Turchia ha una spregiudicatezza nella propria proiezione esterna che in Europa forse solo la Francia può esprimere.
La nuova missione prevede comunque possibili stop alla componente navale nel caso in cui alimenti i traffici di migranti, un punto per cui Sophia era stata criticata. La convince?
È vero che la flotta europea in mare aveva indirettamente creato un magnete che attirava i migranti. Resta il dubbio su chi però valuterà se il traffico aumenta e se questo dipenderà dalla presenza di nuove navi militari . Basti vedere il dibattito di questi giorni sui numeri, tra traffico e ricollocamenti. Essere sempre in condizione di ritirare la flotta presuppone due elementi: una valutazione oggettiva sui traffici (ma ci saranno tante teste a farla, ognuna con un suo approccio nell’affrontare le migrazioni) e la capacità di legare in rapporto causa-effetto l’eventuale aumento alla presenza di navi. Sono valutazioni quasi ideologiche. In più, nel caso si decida di ritirare la componente navale, ciò significherebbe ammettere la sconfitta della scelta fatta. Ma quale governo democratico potrà ammettere l’errore? Lo farà l’Italia che l’ha proposta? Non credo.