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L’Occidente al bivio. I leader del mondo alla Munich Security Conference

Requiem o rinascita? Tra l’erosione della solidità interna e l’emersione poderosa di Russia e Cina, l’Occidente è di fronte a un bivio. Nella nuova competizione tra grandi potenze, la scelta è obbligata: occorre ritrovare unità. È il primo suggerimento che arriva dalla Munich Security Conference, l’evento che da oggi a domenica riunisce in Germania i leader occidentali (e non solo) sui grandi temi della sicurezza internazionale.

IL PROGRAMMA

Giunta alla sua 56esima edizione, la conferenza è generalmente ritenuta una “family reunion” dell’Occidente. Nel corso del fine settimana sono attesi a Monaco 35 capi di Stato e di governo tra oltre 500 decision maker che si alterneranno in conferenze, tavole rotonde e dibattiti. Sono arrivati in Baviera Emmanuel Macron, Justin Trudeau e il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier. Per gli Stati Uniti intervengono il segretario alla Difesa Mark Esper e il segretario di Stato Mark Pompeo, ma anche la speaker della Camera, l’anti-trumpiana Nancy Pelosi. Non c’è però solo l’Occidente, visti gli interventi dei vertici della diplomazia di Russia, Cina e India, Sergey Lavrov, Wang Yi e Subrahmanyam Jaishankar. Molti i rappresentanti delle organizzazioni internazionali come i segretari generali di Ocse e Nato, José Ángel Gurría e Jens Stoltenberg. Tra le novità c’è la più ampia apertura al settore privato, tra cui spicca Mark Zuckerberg, ceo di Facebook. La parte più succosa è però come sempre negli incontri a margine con tanti temi caldi, dal 5G alla Libia.

IL REPORT

Come accaduto per le scorse cinque edizioni, la tre-giorni è stata anticipata da un corposo report che vuole essere spunto di partenza per le tante attività previste dal programma. Nel report del 2019 il focus era stato su “la seconda fila”, cioè le medie potenze dello scenario globale. Quest’anno, la lente d’ingrandimento è tornata sulle grandi potenze: Stati Uniti, Cina, Russia ed Europa, quest’ultima benevolmente considerata nel suo insieme nonostante si noti in più parti la suo frammentarietà. Significativo il titolo del report: Westlessness, letteralmente mancanza di occidentalità.

LA WESTLESSNESS

“Nel 2019 – scrive nell’introduzione Wolfgang Ischinger, presidente della Munich Security Conference – sembra che le sfide alla sicurezza siano diventate inseparabili da ciò che alcuni potrebbero definire il decadimento del progetto occidentale”. Oggi, nota l’ambasciatore, “l’Occidente è contestato sia dall’interno che dall’esterno; parte della sfida è che abbiamo perso una comprensione comune di cosa significhi far parte dell’Occidente”. E ciò avviene mentre “sullo sfondo” si assiste alla ascesa del mondo non occidentale e di un numero crescente di sfide e crisi globali che richiederebbero una risposta occidentale concertata”.

I TEMI CALDI

Dal Nord stream 2 al dibattito in seno alla Nato sul 2% del Pil, fino alle questioni commerciali, sono tanti i dossier su cui emerge l’erosione dei legami tra le due sponde dell’Atlantico. Dalla Libia alla Siria, fino ai rapporti con l’Iran e con la Russia, sono altrettante le tematiche su cui neanche in Europasi registra un’unione di intenti. In realtà, spiega il report, l’Occidente non è mai stato un concetto monolitico, ad eccezione di alcuni principi di riferimento condivisi: la democrazia liberale, i diritti umani, l’economia di mercato e la cooperazione internazionale nelle istituzioni multilaterali. Da qui si suggerisce di ripartire.

L’OCCIDENTE VISTO DA DENTRO…

D’altra parte, la prima sfide all’Occidente arriva dall’interno. Dilaga secondo il report una visione distorta dei valori occidentali, una lettura “chiusa” dell’Occidente come qualcosa da definire secondo criteri “etnici, culturali e religiosi”. Si cita il partito spagnolo di estrema destra Vox, ma anche alcune frasi di Donald Trump e dell’ungherese Victor Orban, sintomo “dell’emersione di un campo illiberale e nazionalista interno all’Occidente”. Sono i sostenitori di uno scontro di civiltà che conduce però prima di tutto all’erosione della solidità occidentale, poiché genera una riduzione a catena di ciò che è “dentro” e di ciò che è “fuori”. Alla base della diffusione di tali sentimenti ci sono comunque “ragioni economiche e culturali”, legati pure all’incapacità delle istituzioni occidentali di tenerle in apposita considerazione.

…E DA FUORI

Ma il decadimento dell’Occidente è anche all’esterno dei suoi confini. Rispetto agli anni che seguirono la Guerra fredda, gli occidentali hanno ridimensionato tanto il soft power quanto l’hard power nelle questioni a rilevanza globale. È dovuto all’emersione di altri attori, ma anche a una certa ritrosia occidentale, evidente nelle missioni internazionali, focalizzate per lo più su peace keeping e peace support. Certo, non hanno contribuito gli impegni “senza fine” come quello in Afghanistan, né il progressivo rafforzamento delle posizioni dei competitor nel Consiglio di sicurezza della Nazioni Uniti. In tal senso, un elemento non è da sottovalutare secondo gli esperti: “la superiorità militare dell’Occidente non è più un dato di fatto”.

LA CINA E LA RUSSIA

Sono tutti sintomi di ciò che la Munich Security Conference definisce “great power competition”. Gli avversari sono noti: Cina e Russia. La prima ha ormai svelato a tutti l’intenzione di “continuare a emergere come potenza normativa, economica e militare al pari dell’Occidente”. La sua proiezione globale è accompagnata dalla critica ai valori fondativi occidentali, con la promozione di un modello di cooperazione alternativo, organizzazioni internazionali nuove e alleanze strategiche in tutto il mondo (vedasi la Belt and road initiative). Ancora più sorprendete forse il 2019 di Mosca, che ha saputo “giocare bene una mano debole”. L’anno russo è stato corredato da vere “vittorie diplomatiche”, come la riammissione nel Consiglio d’Europa, la fornitura dell’S-400 alla Turchia (una bella spina nel fianco della Nato) e il consolidamento del proprio ruolo in Medio Oriente grazie all’intervento in Siria, a cui c’è ormai da aggiungere il forte posizionamento in Libia.

SEGNALI DI RIPARTENZA

Ne deriva una lecita domanda: “Requiem o rinascita per l’Occidente”? La suggestione del report è che ci siano segnali per propendere sulla seconda, partendo dall’assunto che l’unità occidentale è “necessaria” nella nuova “great power competition”. “Sebbene la Brexit indebolirà la politica estera dell’Unione europea, i negoziati hanno mostrato che i membri dell’Ue sono capaci di parlare con una voce sola”. Di più: “Nonostante pochi Paesi Nato abbiamo raggiunto l’obiettivo del 2%, gli alleati hanno significativamente aumentato le spese per la difesa e rafforzato la difesa collettiva”. Lo scorso dicembre, per la prima volta, la stessa Alleanza Atlantica ha trattato la Cina come una sfida alla sicurezza collettiva. Sono tutti segnali che nulla è perduto.

IL MEDITERRANEO TURBOLENTO

Per l’Italia resta significativo il capitolo dedicato al Mediterraneo, intitolato NightMare Nostrum, vero e proprio “incubo” dell’ultimo anno per tutti gli Stati rivieraschi. La Munich Security Conference attesta quanto l’Italia va ripetendo da anni, anche nelle organizzazioni internazionali di riferimento: le acque stanno diventando sempre più calde con il progressivo e costante peggioramento del contesto securitario. Libia e Siria restano le crisi più complesse, ma ad esse si devono aggiungere diverse altre instabilità in nord Africa, il flusso incontrollato di migranti e la competizione energetica nel Mediterraneo orientale. L’Italia è nel bel mezzo di questo “incubo”, di cui Lorenzo Guerini ha parlato oggi nei diversi incontri bilaterali alla Conferenza bavarese, e di cui parlerà domenica Luigi Di Maio, chiamato ad aprire una tavola rotonda sulla situazione in Libia.

GLI INCONTRI DI GUERINI

D’altra parte, i militari italiani sono presenti con il cappello Onu nelle missioni di peace keeping in Libano, Cipro e Mali, impegni al centro dell’incontro con Jean Pierre Lacroix, vice segretario generali delle Nazioni Unite. La missione Unifil (con la bilaterale Mibil) è stata al centro del colloquio con l’omologa libanese Zeina Akar Adra. “La stabilità del Libano ha un valore strategico che va mantenuto – ha detto Guerini – alla neo ministra ho confermato immutato l’impegno nelle missioni Mibil e Unifil, di cui abbiamo il comando”. Il primo impegno della mattinata è stato però con i colleghi della Coalizione internazionali anti-Isis. L’obiettivo lo ha spiegato lo stesso Guerini: “Esaminare la minaccia terroristica in Iraq e Siria, affrontare le dinamiche politiche e di sicurezza, proiettarsi sul futuro”. Il primo passaggio, deciso solo l’altro ieri, è il rafforzamento della missione d’addestramento della Nato in Iraq, una prospettiva condivisa dall’Italia per preservare la stabilità del Paese e i risultati raggiunti nella lotta allo Stato islamico.

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